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Altri 10mila romeni percepivano reddito di cittadinanza senza diritto e postavano i video con i soldi sui social

Otto persone fermate dalla Guardia di Finanza di Novara su ordine della Procura di Milano, tra cui una ex dipendente di un Caf: 10mila romeni percepivano illegalmente il reddito di cittadinanza

L’inchiesta è stata avviata nel novembre dello scorso anno, quando i militari della Guardia di Finanza di Cremona e Novara arrestarono 16 romeni. I finanzieri quasi non credevano ai propri occhi quando hanno visto i loro indagati romeni, accusati di truffa aggravata allo Stato, postare sui social come TikTok alcuni festosi video nei quali si riprendevano mentre, con musiche arabeggianti di sottofondo, contavano mazzette di euro e sventolavano banconote disseminate per casa e sui letti dei loro bambini.

Oggi le Fiamme Gialle, hanno scoperto altre diecimila domande di reddito di cittadinanza sprovviste dei requisiti previsti dalla legge. Una vera e propria enclave romena in provincia di Milano, con i sussidi che dovevano andare tutti a cittadini dell’Est Europa. Con questa seconda trance dell’indagine, la guardia di finanza di Novara ha arrestato otto persone nell’ambito di una maxi inchiesta della procura di Milano sul reddito di cittadinanza. La somma sottratta alle casse dello Stato è di 21,5 milioni di euro.

La banda era formata da truffatori romeni che, dopo i primi 16 arresti, avevano cercato nuovi canali per proseguire il raggiro. Tra i fermati c’è anche un’ex dipendente di un centro di assistenza fiscale. Il gruppo criminale era specializzato nel procurare documenti e nominativi di connazionali romeni avvalendosi anche dell’ausilio di complici all’estero. I documenti venivano poi consegnati, attraverso persone di fiducia, ai titolari e dipendenti di Caf e patronati compiacenti, che predisponevano e compilavano la falsa documentazione di supporto alla domanda (DSU e codice fiscale). La truffa è stata scoperta incrociando i contenuti dei profili social degli arrestati icon i dati contenuti nei pc e nei cellulari sequestrati a novembre.

L’inchiesta del pool reati pubblica amministrazione coordinato dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha documentato come gli arrestati si presentassero nei Caf con i codici fiscali di centinaia di romeni per volta, asserendo semplicemente che costoro esistessero, fossero residenti in Italia da 10 anni e avessero i titoli per usufruire del Rdc.

In alcuni casi gli impiegati italiani dei Caf erano consapevoli della truffa, e facevano finta di niente perché ingolositi dall’immediato tornaconto professionale: l’Inps riconosce 10 euro di compenso per ogni pratica. In altri casi (quando si rifiutavano di stare al gioco) gli addetti venivano fatti oggetto di estorsioni. Si era così instaurata “una procedura ‘parallela’ caratterizzata dalla completa elusione delle più basilari disposizioni legalmente sancite e tale da permettere l’accettazione di domande solamente sulla base di liste di nominativi, in assenza di qualunque accertamento sull’identità”.

Un meccanismo apparentemente semplice, “legato alla conoscenza di cavilli procedurali relativi alla fase istruttoria delle domande per l’ottenimento del reddito di cittadinanza”, ma che aveva la sua imprescindibile sponda negli italiani di alcuni patronati e Caf-Centri di assistenza fiscali.