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Arrestato primario anestesista: è accusato di aver abusato di un’infermiera dopo averla narcotizzata

Un medico anestesista di 52 anni è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di aver abusato di un’infermiera 40enne dopo averla narcotizzata. Davanti al Gip ha ammesso di aver somministrato alla donna un oppioide a cui lei è intollerante, ma che non c’è stata alcuna violenza

La presunta violenza risale al primo luglio scorso e sarebbe avvenuta nell’abitazione di Saronno (VA),  di Andrea Carlo Pizzi, responsabile dell’unità operativa di anestesia e rianimazione della clinica Villa Aprica di Como ma anche consulente di alcuni studi medici e con studio privato a Saronno. L’ospedale del capoluogo lariano in cui il medico lavora non è coinvolto in alcun modo nell’episodio contestato al medico.

L’indagine a carico di Andrea Carlo Pizzi è coordinata dalla Procura di Busto Arsizio, che valutati gli elementi giudicati inquietanti, ha richiesto un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, che è stata firmata dal gip Tiziana Landoni ed eseguita martedì sera dai Carabinieri di Turate. Nell’ordinanza viene contestata la pericolosità sociale dell’uomo, che per questo si trova in carcere a Busto Arsizio, in provincia di Varese.

Secondo l’accusa il medico avrebbe fatto un’iniezione con mezza fiala di un potentissimo antidolorifico per stordire la donna, un’infermiera della provincia di Como con la quale aveva avuto una relazione, per poi poter abusare di lei. Quando la donna ha ripreso i sensi era intorpidita, confusa e senza indumenti.

Nel primo interrogatorio dinanzi al pm, il medico dopo avere letto il contenuto dell’ordinanza, aveva parlato di rapporto sessuale consenziente, mentre ieri di fronte al gip ha ammesso ogni sua responsabilità, sostenendo però di non aver usato violenza nei riguardi della donna sebbene la trovasse, quella sera, dopo la puntura, “intorpidita e rallentata”. Secondo l’avvocato Maurilio Vanzulli difensore del medico però, “non vi è stata alcuna confessione, si tratta di un colloquio col giudice durato un’ora e mezza che va letto nella sua complessità”. In pratica una parziale ammissione.

Il giorno dopo la presunta violenza, la vittima ha chiamato il medico per chiedergli conto dell’accaduto registrando la telefonata nella quale lui avrebbe ammesso di averle fatto un’iniezione di “tramadolo”, un analgesico oppiaceo che l’ex compagna non tollerava e che le aveva in passato provocato svenimenti e convulsioni. Quella telefonata, allegata alla denuncia sporta alla stazione dei carabinieri di Turate, ha attivato le indagini della procura di Busto Arsizio, competente per la città di Saronno, dove il fatto è avvenuto all’inizio del mese scorso.

Secondo l’accusa, quel venerdì sera, l’anestesista — separato e convivente con una nuova compagna dalla quale ha avuto due figli — si vede con la vittima nella casa di lui, che quella sera era libera. I due escono e vanno assieme ad una festa in un paesino del Comasco, ma pare che in auto cominciano a discutere: parole su parole, promesse e spiegazioni, con lui che vorrebbe riallacciare la relazione. La donna però ha male alla spalla, si tratta dello strascico di una brutta caduta da cavallo e così il primario le propone di salire da lui per darle un calmante. Lei accetta, ma gli ricorda la sua intolleranza al tramadolo.

Una volta a casa però, secondo la ricostruzione degli investigatori, Pizzi gli fa l’iniezione con una fiala di anti infiammatorio e una mezza fiala di “contramal”, farmaco che contiene il principio attivo non tollerato dalla donna. Al risveglio, la brutta sorpresa: lei seminuda, lui nudo. Il giorno successivo la chiamata per chiedere conto di quanto avvenuto la sera prima, telefonata nella quale lui ammette di avere somministrazione quel farmaco.

La denuncia, come precisa l’avvocato Annalisa Abate, legale incaricato dalla quarantenne, è stata fatta subito e immediatamente sono partite le indagini coordinate dal pubblico ministero Nadia Calcaterra. Vengono sentiti testimoni, viene analizzato il cellulare di Pizzi e la sua “cronologia” con ricerche legate ai “segni premonitori di un serial killer” o sulle “conseguenze penali per l’uccisione di un cane”, animale posseduto dalla ex fidanzata.