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Biden insiste: “Putin dittatore”, ma analisti avvertono: “Nato non può fermare i missili ipersonici di Mosca”

Dopo essere stato sconfessato da tutti i suoi alleati e persino dagli stessi americani, Biden insiste e sul suo account Twitter scrive: “Putin dittatore. La brutalità non distruggerà mai la volontà di essere liberi”, ma gli esperti avvertono: “La Nato non ha le armi per fermare i missili iporsonici di Mosca”

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, dopo la figuraccia mondiale fatta a seguito delle pesanti frasi su Vladimir Putin, invece di fare marcia indietro insiste e rincara la dose: “Un dittatore deciso a ricostruire un impero non cancellerà mai l’amore di un popolo per la libertà” ed ancora : “La brutalità non distruggerà mai la volontà di essere liberi. L’Ucraina non sarà mai una vittoria della Russia”.

Infine Biden ha ribadito che “la Nato non è mai stata così forte come lo è oggi”e ha aggiunto di non essere “per niente” preoccupato che i suoi commenti possano aggravare il conflitto o indebolire la Nato.

Parole forti e pesanti che però, a dire degli esperti militari non corrispondono alla realtà militare, secondo i quali “La Nato è disarmata di fronte ai missili ipersonici russi”. Il Kinzhal Kh-47M2 infatti, può arrivare a 12 volte la velocità del suono (Mach 12), una velocità massima che le difese missilistiche europee non sono in grado di fermare.

Secondo quanto riporta l’agenzia AGI: 

I limiti dell’attuale architettura difensiva Nato presente sul territorio comunitario hanno la loro radice nell’ambiguità che ha accompagnato negli anni scorsi lo schieramento in Romania e in Polonia delle batterie di intercettori Aegis Ashore”

“L’articolo apparso su Die Welt a firma di Manfred Weber, presidente del gruppo dei Popolari all’Europarlamento e figura di spicco della Cdu tedesca, – continua AGI – ha riacceso il dibattito sull’inadeguatezza delle difese missilistiche europee di fronte a una possibile minaccia proveniente dalla Russia. Weber sottolinea che l’interesse strategico degli Stati Uniti appare orientato a concentrarsi sempre più, in futuro, sull’Indo-Pacifico ed è quindi necessario che il vecchio continente si doti di un suo “ombrello nucleare”.

La recente offerta britannica di schierare in Polonia il suo sistema Sky Sabre è indicativo di quanto le capacità di difesa europee siano giudicato inadeguate. E il sistema ‘Twister’ (Timely Warning and Interception with Space-based Theater) – sviluppato da Finlandia, Francia Germania, Italia, Paesi Bassi e Spagna – non dovrebbe entrare in funzione prima del 2030 e avrà bisogno di radicali aggiornamenti per poter contrastare i nuovi missili ipersonici sviluppati dalla Russia.

I limiti della difesa Nato

I limiti dell’attuale architettura difensiva Nato presente sul territorio comunitario hanno la loro radice nell’ambiguità che ha accompagnato negli anni scorsi lo schieramento in Romania e in Polonia delle batterie di intercettori Aegis Ashore, nel quadro della fase 3 dell’European Phase Adaptive Approach (Epaa).

Washington aveva sostenuto che i sistemi servissero a proteggere l’Europa da un possibile attacco iraniano. Mosca, però, le aveva interpretate come una risposta alla propria deterrenza nucleare, una lettura difficile da mettere in discussione dal momento che, come osserva il think tank European Leadership Network, gli intercettori Aegis sono calibrati su missili a raggio intermedio, che l’Iran allora non possedeva.

Il velo di ambiguità venne strappato nel 2015, quando fu stretto l’accordo sul programma nucleare di Teheran. Sfumata la già improbabile ipotesi di un attacco iraniano all’Europa, la Nato chiarì poco dopo che “la difesa missilistica non riguarda un Paese in particolare ma la minaccia posta in generale dalla proliferazione” della tecnologia balistica.

La Russia, dopo ripetuti avvertimenti, nell’ottobre 2016 replicò dispiegando missili Iskander nell’exclave di Kaliningrad, ovvero nel cuore del territorio dell’Alleanza. Il piano Epaa, essendo finanziato quasi del tutto dagli Stati Uniti, lasciava gli europei con scarsa voce in capitolo di fronte ai crescenti attriti tra Washington e Mosca sui rispettivi programmi missilistici. Non solo: oltre ad aumentare le tensioni con il Cremlino, non è nemmeno detto che gli intercettori Standard Missile-3 (SM-3) possano reagire con efficacia a un attacco nucleare russo.

Nel 2017 Mark Rose, che durante il secondo mandato di Barack Obama ebbe in mano il dossier nel ruolo di assistente segretario di Stato Usa, affermò di “non ritenere che ci fosse una soluzione di difesa missilistica alla crescente sfida strategica presentata dalla Russia”. Gli SM-3 non erano stati infatti collaudati in condizioni realistiche e il secondo test effettuato in Polonia si concluse con un fallimento. Le condizioni politiche cambiarono con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, che esortò gli alleati europei a una maggiore autonomia.

Il progetto ‘Twister’ potrebbe non bastare

Il 12 novembre 2019 giunse così da Bruxelles la luce verde al progetto Twister, sviluppato dal consorzio Mbda. Gli intercettori Twister, di classe simile ai SM-2 o ai Patriot americani, possono colpire missili in arrivo finché viaggiano un’altitudine massima tra i 45 e i 60 chilometri. Non è quindi chiaro quanto questo sistema possa essere efficace contro i nuovi missili ipersonici russi, che hanno già reso da tempo obsolete le batterie Aegis Ashore, presenti anche sulle navi militari Usa che pattugliano i mari europei.

Nel 2020, in seguito all’ingresso di Berlino nel programma, Mbda garantì che i suoi intercettori potranno colpire bersagli che volino a un’altitudine massima di 100 chilometri, ovvero la distanza dal terreno fino alla quale i Khinzal russi, visti di recente all’opera in Ucraina, possono staccarsi dal razzo che li trasporta, per poi planare verso l’obiettivo a velocità ipersonica.

Il problema è che la velocità massima del Kinzhal Kh-47M2 può arrivare a 12 volte la velocità del suono (Mach 12). E Mbda ha asserito che Twister può colpire obiettivi a una velocità “superiore a Mach 5” senza specificare quanto superiore. Il sistema Twister avrebbe quindi bisogno di un aggiornamento che lo renda competitivo almeno quanto i nuovi intercettori SM-6 sviluppati dal Pentagono in risposta al programma ipersonico russo. Nuovi SM-6 che non dovrebbero, però, essere disponibili prima del 2024. La sfida dell’Europa è quindi riuscire ad arrivare ancora prima dell’America, un obiettivo che richiede un investimento tecnologico ed economico senza precedenti.