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Cgia: nel 2023 ci saranno 63 mila disoccupati in più. Il governo taglia il RDC e dice: “andate a lavorare”… Dove?

La Cgia lancia l’allarme: il prossimo anno la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi con la conseguenza che ci saranno 63mila disoccupati in più. Ma il governo Meloni ai disoccupati toglie il reddito di cittadinanza e gli dice che devono trovarsi un lavoro


L’Ufficio studi della Cgia sulla base di una elaborazione dei dati Istat e delle previsioni Prometeia, per il 2023, rispetto al 2022, prevede che la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi e ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati, almeno di 63 mila unità, portanso il numero complessivo dei senza lavoro nel 2023 a sfiorare quota 2.118.000. Come sempre le situazioni più critiche si verificheranno nel Centro-Sud, con Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina, Catania e Siracusa che registreranno gli incrementi maggiori.

Questo nonostante nel mese di ottobre l’occupazione ha toccato il record storico influenzata dai rientri nel posto di lavoro dei cassaintegrati e dalla stabilizzazione dei contratti a termine, come comunicato l’altro ieri dall’Istat. Ma questa situazione potrebbe invertirsi nel giro di qualche mese. Nel 2023, infatti, il tasso di disoccupazione è destinato a salire all’8,4 per cento. Un livello, comunque, che torna ad allinearsi con il dato del 2011; anno che ha anticipato la crisi del debito sovrano del 2012-2013.

Va da se che l’aumenta dei disoccupati è causato dalla perdita dei posti di lavoro, appare ridicolo quindi lo slogan del governo che ha deciso di togliere il reddito di cittadinanza ai disoccupati che lo percepiscono a cui dice di trovarsi un lavoro che nella realtà non c’è. La teoria del governo è che bar e ristoranti cercano personale e non lo trovano, ma non dicono che sono lavori stagionali, con assunzioni come a natale di un mese o due al massimo tre in estate, spesso malpagato e non in regola. Inoltre chi lo accetta perde il Rdc e dopo il mese di lavoro non può più richiederlo, è normale quindi che i percettori rifiutino: voi accettereste?

Ma vediamo nel dettaglio le arre dove la disoccupazione morderà maggiormente.

Il Centro-Sud sarà, appunto, l’area più “colpita”: l’incidenza della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania (+11.054) sarà pari al 58% del totale nazionale.

A livello territoriale le 10 province più interessate dall’aumento della disoccupazione saranno Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993).

Poche le realtà territoriali che, invece, vedranno diminuire il numero dei senza lavoro. Si segnala, in particolare, Perugia (-741), Lucca (-864) e Milano (-1.098). Per quanto riguarda i settori più in difficoltrà, proseguea la Cgia, sebbene non sia per nulla facile stabilire in questo momento i comparti che nel 2023 saranno maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, pare comunque di capire che i settori manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire dei contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, nei macchinari, nell’alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte.

Non solo, stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori, altre difficolta’ interesseranno i trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus, potrebbero registrare le perdite di posti di lavoro più significative. Secondo gli ultimi dati presentati giovedì scorso dall’Istat, dal febbraio 2020 (mese pre Covid) fino a ottobre 2022 (ultimo dato disponibile), i lavoratori indipendenti (sono inclusi anche i soci di cooperative, i collaboratori familiari, ecc.) sono scesi di 205 mila unità, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati di 377 mila.

Certo, tra questi ultimi, si registra, in particolar modo, l’incremento del numero degli occupati con un contratto a tempo determinato, tuttavia questa comparazione ci evidenzia che la crisi pandemica e quella energetica ha colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono sicuramente più fragili.