La guerra in Ucraina è tra Occidente e Russia e mentre Usa e Nato si affrettano a dire di non voler rischiare un conflitto armato con l’Orso moscovita, la “guerra fredda” si sposta su tutti i tavoli possibili, dalle sanzioni alla politica aziendale dei colossi commerciali occidentali
L’Occidente afferma di voler evitare a tutti i costi una guerra diretta con la Russia – specie dopo l’aperto appoggio di Pechino che ha definito la propria amicizia con Mosca “solida come una roccia” accusando peraltro Nato e Usa di essere i responsabili delle guerra – ma questo non significa che la guerra fredda non venga combattuta su tutti gli altri fronti: dalle fortissime sanzioni, ai beni congelati ai russi, fino alla volontà dell’Occidente di voler tagliare tutti i ponti con la Russia soprattutto in ambito energetico circa la fornitura di petrolio e gas russi, anche al costo che la popolazione europea debba “patire il freddo” o dover subire fortissimi aumenti di prezzo su gas ed energia elettrica, del resto, come ha detto l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Borrell: “Tutti facciano uno sforzo individuale per cercare di ridurre il consumo di gas”.
Ma non sono solo gli enti governativi a fare la guerra a Mosca, anche i grandi colossi commerciali stanno abbandonando la Russia: Nike, Ikea, Netflix, McDonald e Goldman Sachs sono solo alcune delle grandi aziende occidentali ad aver reagito duramente alla guerra in Ucraina scoppiata a causa dei conflitti del Donbass.
A tal proposito, il governo russo sta già considerando la possibilità di dichiarare l’insolvenza e nazionalizzare la proprietà delle aziende straniere che lasciano la Russia. A dirlo è stato il vice presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, già premier, Dmitry Medvedev su Facebook, parlando di una “risposta simmetrica” alle sanzioni imposte. “Piegandosi alle sanzioni”, ha detto, le aziende stanno “lasciando i loro team al loro destino” e “il governo russo sta già lavorando su misure che includono l’insolvenza e la nazionalizzazione della proprietà di queste società straniere. Il compito principale – ha sottolineato – è quello di evitare che la gente rimanga per strada, creare nuovi impianti di produzione sulla base di quelli abbandonati dagli investitori stranieri nel panico. Questo approccio è obiettivo e giusto”. “Qualunque siano le cause del risultato, le aziende straniere dovrebbero capire che tornare sul nostro mercato sarà difficile”, ha proseguito l’ex premier russo. “Del resto, cotolette e focacce, di ottima qualità, sappiamo come produrle da soli. Tra l’altro, questo potrebbe essere fatto da imprenditori che erano sotto sanzioni. Ciao a McDonald’s!”, conclude Medvedev.
Ma la guerra fredda si gioca anche sul terreno della propaganda e del clima che si respira e così mentre partono accuse incrociate sul numero dei soldati russi morti nel conflitto, sul numero di civili morti nel conflitto, sull’uso di armi non convenzionali e molto altro, Facebook e Instagram – annuncia oggi Reuters – hanno cambiato la propria “politica”: “sì ai messaggi di odio contro i russi”.
Il cambio di politica comunicativa sarà sia su Facebook che su Instagram in Armenia, Azerbaigian, Estonia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia e Ucraina. In queste nazioni sarà possibile invocare la morte dei presidenti di Russia e Bielorussia, Vladimir Putin e Alexander Lukashenko. Inoltre la deroga riguarda messaggi di odio “diretti verso i soldati russi, a eccezione dei prigionieri di guerra, o russi quando è chiaro che il contesto è l’invasione russa dell’Ucraina (ad esempio se il contenuto menziona l’invasione, l’autodifesa)”.
Andy Stone, capo delle comunicazioni di Meta ha così giustificato le nuove normative interne: “A causa dell’invasione dell’Ucraina, siamo tolleranti verso forme di espressione politica che normalmente violerebbero le nostre regole sui discorsi violenti come ‘morte agli invasori russi’“. “Continuiamo – ha però specificato – a non consentire appelli credibili alla violenza contro i civili russi”. Ci sarebbe forse da chiedersi quando un appello sia “credibile” o meno.
Un’azione che, come ovvio, non è piaciuta a Mosca che ha chiesto agli Stati Uniti di “porre fine alle attività estremiste di Meta”. In particolare l’Ambasciata russa a Washington ha scritto su Twitter: “Chiediamo alle autorità di fermare le attività di Meta e prendere misure per portare i responsabili di fronte alla giustizia, gli utenti di Facebook e Instagram non hanno dato ai proprietari di queste piattaforme il diritto di determinare i criteri della verità e di mettere le Nazioni l’una contro l’altra”. “La politica aggressiva e criminale di Meta, che porta all’incitamento all’odio e all’ostilità nei confronti dei russi, provoca la nostra indignazione”, si legge in una nota dell’ambasciata, “le azioni della società sono l’ennesima prova della guerra dell’informazione senza regole dichiarata al nostro Paese. I media sono diventati soldati della macchina di propaganda dei circoli al potere in Occidente”.
Redazione Fatti & Avvenimenti