Si è spento ieri sera, all’età di 100 anni Jimmy Carter, il più longevo presidente della storia degli Stati Uniti, ricordato per essere stato l’artefice degli storici accordi tra Israele e Egitto. Nel 2002 gli venne conferito il premio Nobel per la pace
Lo ha annunciato la Casa Bianca. “Invito il popolo americano a riunirsi in questo giorno nei rispettivi luoghi di culto per onorare la memoria del presidente James Earl Carter Jr. Invito coloro che in tutto il mondo condividono il nostro dolore ad unirsi a noi in questa solenne commemorazione”, ha dichiarato il presidente uscente Joe Biden in un decreto pubblicato online, che ha fissato per il 9 gennaio una giornata di lutto nazionale, invitando il popolo americano a rendere omaggio alla memoria dell’ex presidente Carter.
I funerali avranno luogo undici giorni prima dell’insediamento del presidente eletto Donald Trump. Il presidente Biden ha inoltre ordinato che la bandiera degli Stati Uniti sia esposta a mezz’asta alla Casa Bianca e su tutti gli edifici e terreni pubblici.
Carter, nome completo, James Earl Carter Jr., nato l’1 ottobre 1924 a Plains, Georgia, eletto nel 1976, già governatore democratico della Georgia, non riuscì ad ottenere un secondo mandato. La sua parabola politica è racchiusa tra il capolavoro diplomatico degli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto e il disastro politico della crisi degli ostaggi a Teheran, che ne hanno decretato la fine.
Grazie agli accordi di Camp David del ’78, aiutò il riavvicinamento tra Israele e Egitto. Ottenne la ratifica dei trattati del Canale di Panama e stabilì relazioni diplomatiche piene con la Repubblica popolare cinese, oltre a portare a termine i negoziati sulla limitazione dell’arsenale nucleare con l’Unione Sovietica, il trattato Salt II. Il tutto in uno scenario internazionale convulso e instabile. I piani con l’Urss vennero sospesi dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, ma fu la crisi tra Usa e Iran a segnare il destino politico del presidente democratico, quando Teheran sequestrò i membri dell’ambasciata americana, notizia che per quattordici mesi fu in prima pagina su tutti i media.
Le conseguenze di quel sequestro, unite all’inflazione, contribuirono alla sconfitta di Carter alle elezioni dell’81, ma nonostante la delusione, portò avanti da presidente uscente le trattative per la liberazione dei cinquantadue ostaggi, che vennero rilasciati simbolicamente lo stesso giorno in cui Carter lasciò la Casa Bianca. Eletto nel ’76, Carter restò alla Casa Bianca solo per un mandato, sconfitto da Ronald Reagan, ex governatore e stella del cinema, che avrebbe cambiato il corso degli Stati Uniti.
Ostinato, umano, infaticabile negoziatore, al fianco dei più deboli, ecologista, campione dei diritti civili. La sua aspirazione era formare un governo “competente e compassionevole”, vicino al popolo americano e all’altezza delle aspettative delle persone. Erano obiettivi molto alti e ambiziosi, ma la crisi energetica, un’inflazione galoppante e le continue tensioni internazionali sfociate nella crisi degli ostaggi americani in Iran misero un freno alla sua attività politica e ne decretarono l’uscita anticipata.