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È scattato price cap e l’embargo al petrolio russo, ma farà più male all’Eu: Mosca ha già preso le contromisure

Il 5 dicembre è scattato il divieto di importare via nave il greggio russo oltre al tetto sul prezzo. L’Europa continua con le sanzioni che scalfiranno appena la Russia e faranno alzare i prezzi dei carburanti nel vecchio continente

L’Europa dopo avere svuotato i propri arsenali inviando le armi a Kiev, che non hanno fermato la pioggia di missili che Putin a cadenza programmata lancia su tutta l’Ucraina, ora punta a combattere Mosca sul campo economico ed energetico. Lunedì 5 dicembre è scattato il price cap al petrolio russo con il relativo embargo, misura che secondo l’Europa, dovrebbe produrre effetti sulle entrare del Cremlino, ma che ha già determinato conseguenze a livello geopolitico, con alcuni Stati pronti a “sfilarsi” dal meccanismo.

Le nuove sanzioni disposte dall’Ue, applicate anche nei Paesi del G7 e in Australia, impongono il divieto di importare via nave il greggio russo nel Vecchio Continente oltre al tetto sul prezzo fissato in 60 dollari al barile. In teoria le sanzioni dovrebbero colpire le entrate del Cremlino…. in teoria, ma poi c’è la pratica. Innanzitutto, inevitabilmente le conseguenze si ripercuoteranno anche sul costo dell’energia e l’inflazione, legati a doppio filo alle oscillazioni dell’oro nero, con aumenti in Europa maggiori di quelli attuali. Qualcuno dirà, soffriremo ma danneggeremo la Russia, purtroppo non sarà cosi.

Ed infatti secondo l’International Energy Forum, l’embargo farà “perdere” all’Ue almeno 3 milioni di barili al giorno, che unita ai tagli decisi a ottobre dall’Opec – di cui la Russia fa parte – di 2 milioni di barili al giorno, faranno impennare delle quotazioni con pesanti ricadute per l’inflazione. Nell’ultimo mese, il prezzo del petrolio russo (il cosiddetto Ural) è sceso a 69 dollari, il 10% in meno.

Tradotto in freddi numeri, Mosca fino ad agosto produceva 11 milioni di barili al giorno e l’Agenzia internazionale per l’energia stima che l’embargo da qui a febbraio, avrà un impatto traducibile in un calo del 17%, con un decremento fino a 10,2 milioni di barili al giorno. Ma il problema non è la produzione ma le vendite. La Russia ad ottobre ha esportato 7,7 milioni di barili al giorno, di cui solo 3,95 milioni in Europa e di quest’ultimi il 90% ricadrà sotto l’embargo. Qualcuno dirà che quindi l’embargo funziona, non proprio ed infatti mentre l’export russo verso l’Ue calavano di 1,5 milioni di barili al giorno, ancor prima dell’embargo, i flussi diretti in Cina aumentavano di 225mila barili al giorno, per un totale di 1,9 milioni. L’India ne acquistava invece 965mila in più, per un totale di 1,1 milioni, mentre la Turchia passava da 320mila a 540mila barili.

I conti sono presto fatti, il greggio non venduto in Europa è acquistato da Paesi amici di Mosca, inoltre il greggio russo potrà essere ancora trasportato con imbarcazioni europee, o degli altri Stati che aderiscono alle sanzioni, solo se il lotto viene acquistato senza superare il “cap”. A ciò si aggiunge il previsto un periodo di transizione di 45 giorni per il greggio russo acquistato via mare al di sopra del limite di prezzo, “a condizione che sia caricato su una nave nel porto di carico prima del 5 dicembre 2022 e scaricato nel porto di destinazione finale prima del 19 gennaio 2023″. Dal canto suo la Russia, secondo produttore al mondo di petrolio, ha dichiarato che non venderà a chi ha sottoscritto le restrizioni. E se lo può permettere, visto sono possibili (e già sono stati segnalati esempi in merito) “trucchetti” per aggirare i divieti. Facciamo un esempio concreto: una partita di greggio russo viene trasferito a una compagnia indiana per poi sbarcare nel Mediterraneo, rendendo altamente arduo risalire all’origine.

Infine la Beffa. Esistono infatti anche navi che non “esistono”. Secondo il Wall Street Journal, le autorità russe stanno infatti predisponendo “navi fantasma” che disconnettono i sistemi di localizzazione e registrano le petroliere in paradisi fiscali, dove vengono perfino fornite bandiere “di copertura”. Una flotta formata da ben 100 vecchie petroliere. Non solo: un altro escamotage consiste nel trasbordo del greggio in navi più grandi, dove viene mescolato a un olio dalle caratteristiche simili. Questa tattica sfrutta un cavillo della legge, la quale prevede che, per essere considerato russo, il petrolio deve provenire almeno per il 51% da aziende della Federazione.

L’Agenzia internazionale per l’energia ipotizza infine che nel 2022 gli operatori legati alla Russia abbiano acquistato ben 29 superpetroliere – note come VLCC, navi cargo per greggio giganti – in grado di trasportare più di 2 milioni di barili ciascuna. Mosca non ha badato a spese neanche per quanto riguarda l’acquisto di 31 Suezmax, in grado di trasportare circa 1 milione di barili ciascuna, e altre 49 petroliere Aframax, che possono trasportare ciascuna circa 700mila barili, ha aggiunto l’analista. Per un investimento totale, secondo Andrei Kostin della banca statale russa VTB, di oltre 16 miliardi di dollari.

Putin, abile giocatore di scacchi, non si limita studiare e mettere in pratica strategie per aggirare i divieti, ma promette battaglia anche su questo campo. “Stiamo lavorando a ritorsioni, state destabilizzando il mercato”, fa sapere il Cremlino, ribadendo di non voler trattare con nessun Paese che impone embargo e price cap. Mikhail Ulyanov, rappresentante permanente della Russia presso le organizzazioni internazionali, non ci è andato leggero: “Da quest’anno l’Europa vivrà senza petrolio russo. Mosca ha già chiarito che non rifornirà quei Paesi che sostengono il tetto ai prezzi, misura contraria al mercato. Aspettate e vedrete che molto presto l’Ue accuserà la Russia di usare il petrolio come arma”.

L’unica nota stonata a cui siamo sicuri il Cremlino sta già trovando la contromisura e che l’embargo al petrolio russo ha fatto scattare la congestione navale nelle acque della Turchia. La posizione di quest’ultima diventa primaria nello scacchiere internazionale, in quanto geograficamente ed economicamente “punto medio” tra i porti russi del Mar Nero e i mercati del mondo. Secondo il Financial Times, sono almeno 19 le petroliere che hanno ingolfato lo Stretto dei Dardanelli in attesa di passare oltre. Questo Ankara ha richiesto una nuova prova di copertura assicurativa completa per tutte le navi che navigano negli stretti, richiesta che dai precedenti Mosca soddisferà. Intanto il greggio continua ad essere venduto ad altri mercati, con India e Cina, che già da marzo sono diventate assieme ad Ankara i maggiori clienti della Russia.