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La Svizzera “NON” entra nell’Unione Europea e rimane Stato Sovrano: rifiutato l’accordo


La Svizzera sceglie l’indipendenza e la democrazia diretta e dice no all’ingresso nel mercato dell’Unione Europea con le regole dettate dall’UE. Dopo la Brexit, per Bruxelles questa è un’altra mazzata

L’accordo quadro per un mercato unico al quale Svizzera e Ue lavoravano da oltre sette anni è saltato. La notizia è arrivata la settimana scorsa, ma non è stato un fulmine a ciel sereno, ad annunciarlo è stata la stessa Confederazione elvetica. Troppe le divergenze, troppi i punti sui quali era impossibile accordarsi e gli svizzeri consapevoli anche delle possibili conseguenze negative sulla loro sovranità nazionale, hanno rifiutato l’accordo.

Comunque non si tratta di una Brexit come quella Inglese, la Svizzera infatti non è uno Stato membro dell’Ue, quindi non è uscita dall’Unione né sarebbe entrata. Gli elvetici continueranno la via degli accordi bilaterali (oltre 120 quelli già all’attivo) che da decenni permette a questo paese neutrale e ricchissimo di coltivare i propri interessi non estraniandosi dagli Stati che la circondano. La Svizzera dunque ha fatto saltare un tavolo iniziato 7 anni fa per arrivare ad un accordo che fosse più completo e ampio di un semplice accordo bilaterale e ritirato la domanda di adesione dal mercato comune europeo. Uno schiaffo enorme per l’UE che non ha a solo a che fare con la sfera economica: avere dei rapporti privilegiati con un’area di libero scambio vuol dire anche orientare le proprie normative verso una maggiore libertà di circolazione di mezzi e persone, flettendo dove necessario la proprio legislazione a favore di una mediata con gli altri stati o gruppo di stati che fanno parte dell’area. Agli elvetici, che attendevano maggiori garanzie da Bruxelles, questa cosa non è andata giù ed hanno deciso di interrompere le trattative con Bruxelles per l’impossibilità di trovare soluzioni negoziali soddisfacenti.

Ma quali sono i punti che hanno fatto saltare il banco e perché si è arrivati a questa rottura? Sicuramente il Consiglio federale – cioè l’organo esecutivo del governo svizzero – ha fatto quello che tutti i governi dovrebbero fare: ascoltare il proprio popolo.

In un paese dove la democrazia e il federalismo sono sacri, era inevitabile che accadesse. E il popolo svizzero si è espresso, in diverse occasioni, chiedendo che ci fossero delle garanzie. Ad esempio riguardo agli aiuti di Stato o ai salari: come proteggere il mercato del lavoro elvetico dagli effetti di dumping dovuti a salari potenzialmente così diversi tra loro? E perché i correttivi proposti dalla Svizzera alla libera circolazione non sono stati recepiti da Bruxelles?

Il messaggio di questo “NO” è chiaro, Berna vuole essere autonoma nel decidere gli adeguamenti del diritto svizzero a quello dell’Ue e si è rifiutata di accettare automatismi pericolosi che avrebbero potuto in qualche modo minare la sovranità elvetica. L’accordo, infatti, avrebbe obbligato la Svizzera ad adottare le regole del mercato interno, ma anche a rendere il suo diritto sociale e del lavoro compatibili con quelli della Corte di giustizia europea trasformando la tradizionale democrazia diretta svizzera in qualcosa di profondamente diverso.

Chiaro anche il commento di  Berner Zeitung, secondo cui la Svizzera non ha bisogno di un “trattato della paura”: non bisogna concludere un accordo “che concede ai cittadini dell’Ue un accesso costoso al nostro sistema di previdenza sociale e che integra praticamente la Svizzera nell’Ue” senza le tutele necessarie.

Da Bruxelles infatti non sono arrivate garanzie adeguate ed anzi i vertici hanno pestato i piedi. Come riportato dalle agenzie, le dichiarazioni successive alla notizia non sono state rassicuranti. La Commissione Ue ha preso atto con “rammarico della fine delle trattative”, ricordando i «progressi compiuti negli ultimi anni”. Bruxelles ha spiegato che “l’accordo quadro istituzionale era pensato come base per rafforzare e sviluppare le relazioni bilaterali per il futuro”, con l’obiettivo di “garantire a chiunque operasse nel mercato unico dell’Ue, a cui la Svizzera ha un accesso significativo, le stesse condizioni perché un accesso privilegiato al mercato unico deve significare il rispetto delle stesse regole e degli stessi obblighi”.

Concetto chiaro, ma agli svizzeri piace essere liberi e poiché le garanzie richieste non sono mai arrivate, per tutelare il proprio mercato e rispettare la volontà dei propri Cantoni, Berna ha preferito opporre un cortese rifiuto.

Ma la gentilezza non è sempre di casa a Bruxelles e così ieri Von der Leyen e Borrell – oltre a sottolineare che con questo nulla di fatto, adesso, “la modernizzazione delle relazioni non sarà possibile e gli accordi bilaterali invecchieranno inevitabilmente” – hanno anche alluso poco simpaticamente agli enormi vantaggi lucrati dalla Svizzera finora grazie agli accordi attualmente in vigore.

Critiche che non hanno scalfito di un millimetro le convinzioni svizzere e  alla quali il consigliere federale Ignazio Cassis, ministro degli Esteri svizzero, ha risposto ricordando che la bilancia commerciale tra Svizzera e Ue pende per diversi miliardi in favore di Bruxelles e che la mobilità tra Nord e Sud dell’Europa passa dal territorio elvetico.

Ora si apre una nuova fase dove tutti gli accordi bilaterali (alcuni piuttosto datati) andranno rinegoziati ma senza accettare passivamente le lente procedure burocratiche europee. E Bruxelles dovrà calcolare bene le proprie mosse e le future negoziazioni, prima che altri paesi scelgano di muoversi come la Svizzera.