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Legge & Diritto. Allacciarsi alla rete elettrica abusivamente è furto aggravato: ecco cosa si rischia


Per molti ancora oggi usufruire dell’energia elettrica del vicino è una prassi quasi innocua, un malcostume tutto sommato tollerabile o, ancora peggio, una “furbata”, ma in realtà questo comportamento integra il reato di furto aggravato

Il furto di energia elettrica è un reato a “forma libera” e può quindi integrarsi con condotte eterogenee: può avvenire in diversi modi: mediante allacciamento abusivo direttamente ai cavi della rete, rubando così all’ente erogatore; mediante un collegamento al cavo di alimentazione di un altro utente; mediante manomissione del contatore tramite una resistenza o un magnete (applicazione di una calamita sul contatore in modo da rallentare il conteggio del consumo), ovvero tramite modifica del software in quelli più moderni e mediante altri metodi.
Il delitto di furto è disciplinato dall’art. 624 c.p., che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 euro a 516 euro chiunque si impossessi della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri.

Il bene giuridico protetto dalla norma è da rivenirsi nella salvaguardia del patrimonio, al fine di garantire il legittimo uso e godimento della cosa mobile.

La condotta tipica del furto consiste nello spossessamento di una cosa mobile ai danni di chi la detiene e nell’impossessamento del bene, che si realizza quando questo esce dalla sfera possessoria di un soggetto per entrare in quella di un altro soggetto. Il furto si ritiene consumato quando il soggetto derubato perde la materiale disponibilità e la vigilanza della cosa.

La cosa deve essere di altri: non ci può essere confusione tra la persona dell’agente e quella di colui che ha la signoria, anche di fatto, sulla cosa, nel momento in cui avviene l’evento delittuoso.

Affinché si configuri il delitto di furto non è sufficiente che si realizzi la condotta materiale ma è necessario anche che il soggetto agisca con consapevolezza e la volontà di trarre un profitto per sé o per terzi; tale profitto può consistere in qualsiasi utilità o vantaggio, anche non patrimoniale, e persiste anche nel caso di utilizzazione temporanea o comunque non definitiva.

Oggetto del reato è la cosa mobile intesa quale entità materiale, suscettibile di valutazione economica, che può essere liberamente trasportata da un luogo ad un altro senza che perda la sua funzione sociale.
E l’energia elettrica?

A considerarla un bene mobile è proprio l’art. 624 c.p. che al secondo comma afferma che “agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico”.
Il furto di energia elettrica è considerato un delitto a consumazione prolungata, in quanto, dice la Corte di Cassazione, anche se è vero che l’evento continua a prodursi nel tempo, le plurime captazioni di energia, successive alla prima, non sono considerate un post factum penalmente irrilevante né singole ed autonome azioni costituenti altrettanti furti, bensì singoli atti di un’unica azione furtiva.

La Cassazione, in particolare, si è espressa nel senso che il furto di energia elettrica integri un furto aggravato dall’utilizzo di un “mezzo fraudolento” o “da violenza sulle cose” ex art. 625, comma 1, n. 2, c.p. (Cass. Pen., Sez. IV, n.18329/2019), punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 927 euro a 1500 euro”. L’aggravante della violenza è configurabile tutte le volte in cui la condotta del soggetto agente consista nel danneggiare, trasformare o mutare la destinazione di una cosa previsti all’art. 392 c.p. (Cass., Pen., Sez. V, n. 6762/2015).

Qualora la condotta contestata consista nell’allacciamento abusivo direttamente ai cavi della rete di distribuzione o al cavo di alimentazione di un altro utente, la giurisprudenza è concorde nell’affermare che sia configurabile la circostanza aggravante di cui all’art. 625 comma 2: il cavo allacciato direttamente alla rete di distribuzione impedisce di rilevare il consumo da parte del fornitore, configurandosi così l’uso del mezzo fraudolento.

Qualora, invece, l’allacciamento abusivo avvenga mediante manomissione del proprio contatore, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza più risalente si sono orientate verso la configurazione del reato di truffa ai sensi dell’art. 640 c.p, perché nella manomissione del contatore, più che l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, si concretizzerebbero gli artifizi e raggiri espressamente previsti dalla fattispecie del reato di truffa.

Tuttavia, diverso è l’orientamento desumibile dalle recenti pronunce. Si è affermato infatti che “in tema di reati contro il patrimonio, è configurabile il delitto di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento allorquando lo spossessamento si verifica invito domino (senza il consenso del titolare del diritto), mentre ricorre la truffa nel caso in cui il trasferimento del possesso della res si realizza con il consenso, seppure viziato dagli altrui artifici o raggiri, della vittima”. (Cass., Pen., Sez. V, sent. n. 22842/2019).

Commette il delitto di furto aggravato anche il soggetto ricorre all’utilizzo di un magnete sul contatore dell’energia elettrica allo scopo di truccare i consumi registrati e ricevere una bolletta meno costosa.

Infine, nel caso di furto di energia elettrica, il soggetto agente non può invocare la causa di giustificazione dello stato di necessità ex art. 54 c.p., in quanto, ha affermato la Corte di Cassazione, lo stato di indigenza, non è di per sé idoneo a configurare la scriminante in questione, non presentando elementi di attualità e inevitabilità del pericolo e atteso che alle persone che si trovano in tale stato è consentito di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni essenziali per mezzo degli istituti di assistenza sociale” (Cass. Pen., Sez. IV, n.18329/2019).

 

Legge & Diritto è una rubrica quindicinale a cura della dott.ssa Francesca Santangelo.