“L’istituto di credito è responsabile in caso di pagamenti disconosciuti e ritiro fraudolento di contanti, se non riesce a dimostrare che il correntista abbia agito con colpa grave. Per evitare sanzioni, le banche dovranno dimostrare di aver attuato ogni misura utile contro i rischi”
Un’ordinanza della Corte di Cassazione segna una svolta storica a favore dei consumatori: i prelievi fraudolenti effettuati tramite carta di credito o debito e i pagamenti disconosciuti dal cliente dovrebbero essere addebitati alla banca che li dovrà rimborsare.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza numero 23683, pubblicata in questi giorni, in relazione ad una vicenda che risale a 15 anni fa e che ha per protagonisti una correntista e il tribunale di Salerno. Secondo la Cassazione, per evitare sanzioni gli istituti di credito dovranno “dimostrare di aver attuato ogni misura utile contro i rischi”. E viene inoltre puntualizzato: “La diligenza della banca va a coprire operazioni che devono essere ricondotte nella sua sfera di controllo tecnico, sulla base anche di una valutazione di prevedibilità ed evitabilità tale che la condotta, per esonerare il debitore, la cui responsabilità contrattuale è presunta, deve porsi al di là delle possibilità esigibili della sua sfera di controllo”.
In pratica la Cassazione ha stabilito che in caso di prelievi fraudolenti effettuati all’insaputa del cliente tramite carta di credito o debito, la banca è responsabile (ed è tenuta a rimborsare) se non riesce a dimostrare che il cliente abbia agito con una colpa grave. Ad attivare la Cassazione è stata una cliente bancaria che aveva subìto prelievi fraudolenti dal proprio conto corrente per una cifra di 5.725 euro. Ventitré le operazioni contestate, avvenute sia mentre la donna era in Italia che durante alcuni viaggi all’estero, e perfino dopo aver sostituito la vecchia carta con una nuova.
Secondo la donna, gli addebiti erano da imputarsi “alla negligenza della banca” che non avrebbe adottato “cautele idonee a scongiurare operazioni illecite da parte di terzi”. Per questo motivo si era mossa per vie legali, chiedendo un risarcimento al tribunale. La sua istanza è stata respinta dal giudice e dalla corte d’Appello.
La banca, da parte sua, ha sostenuto che la cliente non aveva prestato sufficiente attenzione alla custodia della propria carta e del pin, e che quindi era responsabile di quanto accaduto. Sebbene, infatti, la correntista abbia sempre sostenuto di aver tenuto con sé il bancomat, anche all’estero, questa affermazione è “priva di riscontro probatorio”, secondo il giudice. Inoltre, la banca ha sostenuto che se anche la carta fosse stata clonata, il prelievo poteva avvenire solo conoscendo il codice pin. “Con elevato grado di probabilità”, dunque, il giudice ha ritenuto che i prelievi fossero stati eseguiti dai familiari della donna.
La Cassazione però ha respinto questa tesi, affermando che la responsabilità principale attiene la banca, che deve adottare tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza dei servizi di pagamento. Quindi, se un cliente subisce un prelievo fraudolento, spetta alla banca dimostrare che ha fatto tutto il possibile per prevenirlo e che la colpa è esclusivamente attribuibile al cliente. In sostanza, l’onere della prova spetta all’istituto e non al consumatore. In tal modo sarà più facile per il cliente chiedere il rimborso delle somme prelevate in modo fraudolento e sarà una garanzia in più che la banca adotti standard più alti di sicurezza e controllo.
Completamente diversa, dunque, l’ordinanza della Cassazione che “censura la sentenza impugnata per grave difetto motivazionale”. Infatti, nonostante la correntista avesse mostrato i timbri sul passaporto che dimostravano il viaggio all’estero, i giudici avevano contestato il possesso della carta spiegando che questa poteva essere stata clonata. Il fatto che fosse stato digitato il pin, poi, faceva ricadere sulla donna ogni responsabilità e quindi ogni addebito. I giudici della Cassazione, invece, hanno evidenziato il ruolo degli istituti di credito: “La responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo strumenti elettronici, con particolare verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente, mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente, configurabile, ad esempio, nel caso di protratta attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento, ma il riparto degli oneri probatori posto a carico delle parti segue il regime della responsabilità contrattuale”.
Secondo la Cassazione, quindi, “mentre il cliente è tenuto a provare la fonte del proprio diritto e il termine di scadenza, il debitore, cioè la banca, deve provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, sicché non può omettere la verifica dell’adozione delle misure atte a garantire la sicurezza del servizio”. Pertanto, “essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente un’eventualità rientrante nel rischio d’impresa, la banca per liberarsi dalla propria responsabilità deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore”.
Debora Ranzetti, romana, avvocato ma blogger per passione. Non ha partiti ne tessere, amante delle battaglie impossibili, il cui motto è: “non mi piego, ma a spezzarmi non ci penso nemmeno”. Scrive quello che pensa, senza filtri, ma sempre nel rispetto delle regole. Animalista, ambientalista, inquieta e sempre di corsa, ma pronta a fermarsi se qualcuno è in difficoltà.