Legge & Diritto. Il segreto professionale: cos’è e chi è tenuto a rispettarlo


In molti hanno sentito parlare di segreto professionale, ma non tutti sanno cos’è e chi è tenuto per legge a rispettarlo

Rivolgersi ad un medico (o, in generale, ad un professionista) vuol dire instaurare con questi un rapporto basato sulla fiducia, in virtù del quale ci si aspetta che quest’ultimo non solo svolga la propria attività con diligenza ed attenzione ma garantisca anche la segretezza di quanto ha appreso nell’esercizio della stessa. In sostanza, ogni professionista è tenuto a garantire il segreto professionale.

Ma di cosa si tratta?

Il segreto, in senso letterale, è ciò che è tenuto nascosto. In senso giuridico, è ogni fatto che, per disposizione di legge o per decisione di una volontà giuridicamente autorizzata, è destinato a rimanere nascosto a qualsiasi persona diversa dal legittimo depositario (sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sez. III, n. 2393/1967). In ambito sanitario mantenere il segreto significa tutelare la riservatezza del paziente in relazione a dati ed informazioni attinenti il suo stato e le sue condizioni psico-fisiche.

Oggetto del segreto sono fatti e notizie in genere concernenti la sfera personale: stato di salute, famiglia, preferenze sessuali, ecc… di cui il sanitario è venuto a conoscenza nell’esercizio formale della sua professione o anche al di fuori ma comunque in ragione della stessa (es. confidenza fatta dall’assistito al professionista anche nel corso di un incontro occasionale).

Non è rilevante la modalità con cui il sanitario viene a conoscenza delle informazioni riservate dell’assistito. Ciò può avvenire in via diretta (es. raccogliendo l’anamnesi, esaminando i risultati di esami e test) o in via indiretta (mediante le confidenze ricevute dal cliente o dai suoi familiari).

L’unico soggetto in grado di poter decidere di divulgare l’informazione è il suo titolare, cioè il paziente. Infatti, il riserbo deve essere mantenuto anche nei confronti dei familiari dello stesso. La rivelazione di notizie riservate può avvenire mediante parole, ma anche scritti, gesti o allusioni e è sufficiente che venga fatta ad una sola persona per integrare il reato di cui all’art. 622 c.p. (rubricato, appunto, “rivelazione di segreto professionale”).

Il segreto professionale è rilevante sia sotto il profilo deontologico sia sotto il profilo giuridico.

Nel codice di deontologia medica, le norme di comportamento professionale che lo compongono, se violate, possono determinare l’applicazione di sanzioni disciplinari a seguito dell’instaurazione del relativo procedimento avviato dall’Ordine di appartenenza. L’art. 10 afferma che il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò di cui è a conoscenza in ragione della propria attività professionale. Obbligo che continuerà anche in caso di sospensione, di interdizione e di cancellazione del sanitario dall’Albo presso il quale è iscritto nonché nell’ipotesi di morte della persona assistita. Lo scopo della norma è quello di evitare che il medico, anche se non più professionalmente in attività, possa utilizzare alcune conoscenze acquisite durante la propria vita professionale anche per scopi di lucro.

Non è sufficiente che il medico si limiti a mantenere il segreto professionale, ma di ciò deve informare i suoi collaboratori e i suoi discenti e deve sollecitarne il rispetto.

Il codice penale, al riguardo, all’art. 622, considera responsabile chi rivela un segreto, avendone avuto notizia in virtù del proprio stato, ufficio, professione o arte (Cfr. art. 622 cod. pen.). Per “stato” si intende la situazione giuridica che deriva da rapporti di parentela o di coniugio ma anche la situazione in cui si trova chi svolge una particolare attività (es. segretario o tirocinante). L’ “ufficio” si riferisce allo svolgimento di attività pubbliche o private da cui derivino diritti e doveri, comprese le funzioni svolte da tutori, consulenti o impiegati. Per “professione o arte” s’intende, infine, ogni attività, principalmente retribuita, di carattere intellettuale o manuale, svolta a servizio di altre persone.

Sono tenuti a mantenere il segreto, dunque, non solo i medici, ma anche gli studenti universitari di Medicina e Chirurgia o delle altre professioni sanitarie che svolgono tirocini presso strutture ospedaliere, gli assistenti volontari, i medici in formazione specialistica, i componenti delle loro famiglie e in generale tutti coloro che siano venuti a conoscenza di informazioni soggette a segreto, compreso chi svolge attività di segreteria presso gli studi medici.

Si ha reato quando il professionista impiega il segreto a profitto proprio o altrui, anche non patrimoniale, e lo riveli senza giusta causa. Inoltre, la punibilità della condotta illecita è legata alla possibilità del verificarsi di un nocumento, anche se non è necessario un suo effettivo verificarsi. In sostanza, affinché si configuri il reato di rivelazione di segreto professionale, il paziente non deve necessariamente aver subìto il danno, ma è sufficiente che sia posto nella condizione di poterlo subire.

Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica il pericolo di nocumento e richiede che sussista il dolo, cioè la volontà di rivelare o utilizzare il segreto per un proprio od altrui profitto. Tuttavia, anche qualora si accerti che la condotta di “rivelare” non sia accompagnata dalla presenza del dolo e che la stessa sia avvenuta per negligenza, vi possono essere delle conseguenze in sede civile.

La pena prevista è quella della reclusione fino ad un anno o, in alternativa, con la multa da 30€ a 516 € ed è punibile a querela della persona offesa.

Per il sanitario l’obbligo di mantenere il segreto professionale è un dovere primario che diventa secondario solo qualora sia necessario salvaguardare un interesse superiore o la vita e la salute di un terzo.

Ma ciò quando avviene? Quali sono le giuste cause che consentono di escludere la punibilità e di rivelare il segreto professionale?

Innanzitutto, nelle ipotesi in cui è la legge stessa a prevedere l’obbligo di rivelare il segreto. Ciò avviene in riferimento al referto, alle denunce sanitarie obbligatorie, ai certificati obbligatori, alle denunce giudiziarie, alla perizia ed alla consulenza tecnica, alle visite fiscali, alle visite medico-legali effettuate per conto della magistratura o di compagnie di assicurazione, agli arbitrati o alle ispezioni corporali ordinate dal giudice. In tutti questi casi l’obbligo di rivelare il segreto risponde all’esigenza di salvaguardare interessi della collettività che sono destinati a prevalere su quelli del titolare.

Inoltre, non è punibile il medico che renda noto il segreto in presenza del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) cioè del paziente o del suo legale rappresentante (es. il genitore o il tutore), così come il medico che ha commesso il fatto per un caso fortuito (es. furto dello schedario) o per forza maggiore (art. 45 c. p.) o per costringimento fisico (art, 46 c.p.) o per errore di fatto (art. 47 c. p.) o per errore determinato dall’altrui inganno (art. 48 c. p.). Ancora, costituisce causa di giustificazione per il medico anche l’aver agito per legittima difesa (art. 52 c. p.) cioè per la necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta o per lo stato di necessità (art. 54 c. p.) di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alle persone, pericolo da lui non volontariamente causato, né in altro modo evitabile.

Legge & Diritto è una rubrica quindicinale a cura della dott.ssa Francesca Santangelo.