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Legge & Diritto. Muore un genitore e il fisco chiede agli eredi le tasse del defunto: ecco quando si deve pagare

Nella vita purtroppo capita a tutti di perdere un parente e gli eredi spesso si ritrovano i creditori che chiedono di essere pagati, ma non è automatico che i successori per legge siano obbligati a pagare al posto del defunto: ecco cosa dice la legge


Muore un parente e capita che lascia beni, ma anche debiti che possono essere con privati ma anche con la pubblica amministrazione e così ci si ritrova con il fisco che bussa alla porta per il pagamento di Irpef, Iva, bollo auto, Imu e quant’altro o banche e con avvocati che chiedono il pagamento di fatture. Ma perché l’erede sia obbligato dalla legge a pagare al posto del defunto è necessaria l’accettazione “piena” dell’eredità, che può essere espressa o tacita.

Vediamo i diversi casi. Premesso che non è automatico che si diventi eredi dopo la morte del parente, prima infatti occorre accettare l’eredità, la legge consente di valutare se è conveniente accettare. Di fatto l’erede fa un semplice calcolo dei debiti e dei crediti che il defunto lascia, va da se che se i debiti da pagare sono maggiori di quanto sia la somma complessiva ereditata considerando, denaro liquido, bene immobili e mobili, l’erede può non accettare e in questo caso non è obbligato a pagare.

Ma non sempre il calcolo del dare e avere è semplice, quando le somme in gioco sono elevate e difficili da individuare, l‘erede può ricorrere ad accettare l’eredità ma “con beneficio d’inventario”, prendendosi del tempo per valutare, ma in questo caso il Fisco può accelerare i tempi e fissare un termine per decidere. Stabilito dunque che con la morte di una persona si apre la sua successione gli eredi che possono essere coniugi, figli o nipoti del defunto, per accedere all’eredità devono prima firmare l’accettazione senza riserva.

Dunque si diventa eredi solo a seguito di accettazione dell’eredità (espressa, tacita o con beneficio d’inventario)  principio fondamentale confermato dalla corte di Cassazione con la sentenza n. 8053/2017: “la qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità” .

Quindi fino al momento in cui i chiamati all’eredità non avranno effettivamente accettato, i debiti – anche quelli tributari – gravanti sull’eredità stessa non si trasferiranno agli eredi. Proprio per evitare di assumere su di sé un patrimonio ereditario contenente debiti è prevista la possibilità di rinunciare all’eredità, così escludendo definitivamente la possibilità di accettazione (anche se è possibile fare, in un momento successivo, la revoca della rinuncia, se nel frattempo non sono subentrati altri chiamati all’eredità di grado ulteriore).

Ed ecco quali sono i debiti tributari che si pagano accettando l’eredità 

Con l’accettazione dell’eredità gli eredi, secondo quanto previsto dall’Art. 65 D.P.R. n. 600/1973, sono tenuti – in proporzione alle rispettive quote ricevute, ma per alcune imposte, come l’Irpef, è prevista la solidarietà tributaria per l’intero importo dovuto – al pagamento dei debiti tributari di qualsiasi tipo lasciati dal defunto: sono, però, escluse le sanzioni, che non si trasferiscono agli eredi.

Rimangono, perciò, dovuti gli importi “base” delle imposte e tasse non versate dalla persona scomparsa mentre era in vita, a meno che questi debiti non siano già andati in prescrizione. In ogni caso la sola dichiarazione di successione non è sufficiente per far acquistare la qualità di eredi, ma è soltanto un adempimento di natura fiscale, che come tale non equivale affatto all’accettazione dell’eredità espressa o tacita.

In questo modo diventa possibile, per chi ha soltanto presentato la dichiarazione di successione ma non ha accettato l’eredità e pertanto non è diventato erede, rifiutarsi di pagare i debiti tributari lasciati dal defunto. Questo importante principio è stato affermato di recente della Cassazione con l’ordinanza n. 30761 del 19.10.2022, che ha annullato l’avviso di accertamento notificato al coniuge superstite e al figlio di un contribuente defunto, con il quale si chiedeva il pagamento di alcune annualità della tassa automobilistica su veicoli che erano di sua proprietà.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dalla vedova e dal figlio in opposizione alla richiesta di pagamento di quei bolli auto: il Collegio ha ribadito che la loro qualità di eredi non poteva desumersi, “in via presuntiva”, dal solo fatto di aver presentato la denuncia di successione, ma occorreva che l’Amministrazione provasse un’effettiva accettazione dell’eredità da parte dei soggetti chiamati. Infatti le obbligazioni tributarie (così come i debiti privati) si trasferiscono agli eredi solo se e nel momento in cui l’eredità viene accettata, ma è sempre il creditore – nel nostro caso l’Amministrazione finanziaria, quindi l’Ente impositore titolare del tributo o l’Agente di Riscossione – a dover provare tale essenziale circostanza, e cioè che i nuovi debitori sono veramente diventati gli eredi, e non sono più soltanto dei semplici chiamati, come tali non tenuti a versare le imposte e tasse del defunto

Anche per questo motivo in favore del Fisco, c’è l’Art. 528 Cod. civ., per rimuovere le situazioni di incertezza e di inerzia e riuscire ad azionare la pretesa impositiva nei confronti degli “aspiranti eredi” che non hanno ancora accettato e, pertanto, non sono divenuti tali prevede che: l’Amministrazione può chiedere di fissare un termine per l’accettazione dell’eredità da parte dei congiunti del defunto, e può anche far nominare un curatore dell’eredità giacente che nessuno ha reclamato.

Legge & Diritto è una rubrica a pubblicazione quindicinale