⦿ Ultim'ora

Legge & Diritto. Reddito di cittadinanza indebitamente percepito. Cosa dice la legge?


Il reddito di cittadinanza è stato introdotto nel nostro ordinamento con il d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, successivamente convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2019, n. 26. La sua introduzione è figlia dell’intenzione del legislatore di eliminare o quantomeno ridurre le disuguaglianze e la povertà esistenti nella società

Trattandosi di un sussidio essenzialmente “comodo”, le modalità illecite volte ad ottenerlo indebitamente sono messe in atto con grande frequenza. Sono sempre in aumento, infatti, le notizie di cronaca relative a percettori abusivi del reddito di cittadinanza e ciò deriva dal fatto che i controlli sulla legittima percezione sono per lo più successivi all’erogazione della somma e non preventivi.

Il reddito di cittadinanza è una misura fondamentale di politica attiva a garanzia del “diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro” (art. 1 del suddetto decreto).

La legge istitutiva del reddito di cittadinanza impone innanzitutto al richiedente di dichiarare esattamente e in maniera completa la propria situazione personale e le proprie condizioni economiche, estese all’intero nucleo familiare di appartenenza.

Tale beneficio si compone di due distinti elementi: una parte, a integrazione del reddito del nucleo familiare, la cui misura massima è rapportata al numero dei componenti del nucleo, criterio posto alla base della “scala di equivalenza” prevista dall’art. 2, comma 4 del testo normativo in esame; un’altra parte, a ulteriore integrazione del reddito, in caso il nucleo sia residente in un’abitazione condotta in locazione (per un massimo “fisso” di 3.360 euro/annui).

Il d.l. n. 4/2019 disciplina le modalità per il perseguimento del beneficio, che consegue alla presentazione di un’istanza da parte del privato, il quale deve dichiarare di essere in possesso dei requisiti lavorativi e reddituali richiesti (la soglia di reddito personale e del nucleo familiare, lo stato di disoccupazione e i vari aspetti della propria situazione economica, compreso il possesso di beni patrimoniali).

Se si eccede uno qualsiasi dei limiti indicati nel testo normativo, non si ha diritto al beneficio, mancando le condizioni di disoccupazione lavorativa e di indigenza economica che giustifichino il diritto a percepirlo.

Acquisiti i dati forniti dall’interessato, la pubblica amministrazione ne accerta la veridicità, svolgendo appositi controlli, ad esempio, su residenze e lavori in nero. Tali controlli vengono eseguiti anche successivamente, allo scopo di verificare se sussistano o siano venuti meno i requisiti in capo a chi ha già ottenuto il reddito di cittadinanza.

Tuttavia, una volta ottenuto, si può decadere dal diritto al reddito di cittadinanza sia quando non si sottoscrive il patto per il lavoro o per l’inclusione sociale o non si partecipa alla ricollocazione sia quando, mentre lo si sta percependo, vengono superate le soglie reddituali o patrimoniali previste dal legislatore.

Inoltre, è disposta la revoca del reddito qualora emerga che il richiedente abbia dichiarato circostanze false per ottenerlo o qualora lo stesso abbia omesso di comunicare tempestivamente le variazioni delle condizioni economiche o della situazione lavorativa che incidono sulla fruizione.

A tal proposito, il decreto-legge n. 4 del 2019, all’articolo 7, prevede e disciplina due differenti fattispecie delittuose, configurabili nell’ipotesi di false od omesse dichiarazioni.

La fattispecie di delitto di cui al comma 1, sussidiaria rispetto a delitti più gravi della stessa specie, punisce con la pena della reclusione da due a sei anni la condotta di chi “al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute”.

Si tratta di un reato di pericolo, che si configura anche se non è derivato un danno alla pubblica amministrazione e che si consuma con l’utilizzazione di dichiarazioni o documenti mendaci, anche sotto forma di omissione.

La seconda fattispecie di reato, invece, prevista al secondo comma dello stesso articolo, punisce con la reclusione da uno a tre anni “l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio”.

Anche questa ipotesi tipizza un reato di pericolo ed ha il fine di punire qualsiasi condotta di mancato aggiornamento dei propri parametri reddituali, parametri essenziali sia ai fini della revoca della misura sia ai fini della sua rimodulazione. L’introduzione di tale delitto si comprende in quanto la variazione anche solo parziale di uno solo dei fattori richiesti per l’ottenimento del reddito si riverbera sempre nella rimodulazione (anche minima) della misura stessa.

Alla condanna per uno dei due delitti descritti dalla norma in esame (art. 7) consegue di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito.

Ma cosa succede quando, nonostante le false dichiarazioni rese, il richiedente abbia comunque diritto alla percezione del reddito di cittadinanza, perché i dati che lo stesso ha omesso di comunicare, non avrebbero inciso sulle condizioni di reddito anche se fossero state dichiarate?

Secondo la Corte di Cassazione (Cass. sent. n. 2402/21) il reato di truffa per ottenere l’indebita erogazione si configura comunque perché sussistono le “false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza […]” (ved. anche Cass. sent. n. 5289/20).

Per spiegare tale orientamento la Suprema Corte richiama il “dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico”, affermando che per la violazione di tale dovere è sufficiente la sussistenza delle falsità nelle dichiarazioni, senza che sia necessario che, in concreto, siano state superate le soglie reddituali di legge. In sostanza, il reato è commesso con la sola dichiarazione falsa o incompleta.

Per completezza espositiva, si ricorda che, in vista dell’approvazione della Legge di bilancio, l’attuale governo sta lavorando ad una modifica delle condizioni che attengono al Reddito di cittadinanza al fine di limitare gli abusi e dettare nuove regole per i soggetti disoccupati che percepiscono il beneficio e far sì che questi accettino più velocemente le proposte lavorative che vengono loro offerte.

 

Legge & Diritto è una rubrica quindicinale a cura della dott.ssa Francesca Santangelo.