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Legge & Diritto. Revenge porn (vendetta porno): ecco cos’è e come viene punito dalla legge


L’entrata in vigore del c.d. “Codice Rosso” (legge 19 luglio 2019, n. 69) segna una data molto importante legata all’introduzione nel codice penale del delitto di revenge porn

Si tratta di un provvedimento legislativo che ha mirato a rafforzare la tutela delle vittime dei reati di violenza domestica e di genere mediante interventi sul codice penale e sul codice di procedura penale.
Cosa è il revenge porn?

La locuzione di origine anglosassone “revenge porn”, o anche “revenge pornography” (lett. “vendetta porno” o “pornovendetta”) sono espressioni della lingua inglese che indicano la diffusione illecita pubblica di immagini o video sessualmente espliciti mediante internet senza il consenso dei protagonisti degli stessi. Ad oggi, solo alcuni paesi del mondo hanno dettato un’esplicita disciplina a riguardo, come Australia, Canada, Filippine, Giappone, Israele, Malta, Regno Unito e alcuni stati degli USA e, nel 2019, anche l’Italia.

Il reato è stato finalmente introdotto per contrastare i sempre più frequenti episodi di “vendetta porno” ai danni di moltissime vittime, prevalentemente donne ma anche uomini, episodi consistenti nella divulgazione e diffusione non consensuale di foto e video hard, dettati da una finalità di natura vendicativa. Si tratta spesso di selfie scattati dalla stessa vittima e inviati all’ex partner o di foto e/o video intimi realizzati con l’intenzione che dovessero rimanere nella sfera privata degli interessati o addirittura effettuati senza che la vittima ne fosse a conoscenza.

Dai moventi di queste condotte illecite di diffusione a scopo di vendetta emerge come a perpetrare il ricatto sessuale siano soprattutto persone precedentemente legate alla vittima da un rapporto sentimentale (coniugi, compagni/e, fidanzati/e), che agiscono allo scopo di punire, umiliare o provare a controllare gli ex facendo uso delle immagini o dei video in loro possesso. Ovviamente la diffusione comporta che la vittima di revenge porn subisca danni sotto tutti i profili: psicologico, reputazionale e, stante le notizie di cronaca anche molto recenti, anche professionale.

Più precisamente, l’art. 10 della legge 19 luglio 2019, n. 69, (c.d. Codice Rosso), inserisce nel codice penale il nuovo articolo 612-ter, intitolato delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.
L’articolo disciplina due ipotesi rispettivamente al comma 1 e al comma 2. Il comma 1 dell’art. 612-ter c.p. punisce con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.

È fondamentale che l’oggetto consista in immagini o video che siano “destinati a rimanere privati” e che siano divulgati “senza il consenso delle persone rappresentate”, cioè in mancanza del consenso espresso, liberamente prestato e non viziato (da errore, violenza o dolo), dell’avente diritto.

Il comma 2 stabilisce che la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. In sostanza, il legislatore con il secondo comma punisce con la stessa pena la condotta dei cosiddetti secondi distributori, cioè quei soggetti che, avendo ricevuto immagini e video a contenuto sessualmente esplicito e senza il consenso delle persone rappresentate, le inviano, consegnano, cedono, pubblicano o diffondono, col il preciso fine di creare un nocumento.

Con l’introduzione del delitto di revenge porn, il legislatore non ha dimenticato di includere la previsione di circostanze aggravanti il reato. Infatti, qualora i fatti che integrano il reato di cui al comma 1 siano commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa o, ancora, siano commessi attraverso strumenti informatici o telematici (attraverso social network, internet o smartphone), la pena è aumentata fino ad un terzo (art. 612-ter, comma 3, c.p.).

Inoltre, qualora le condotte in esame siano tenute in danno di persona in condizione di infermità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

Ai fini della punibilità del delitto di revenge porn è necessaria la querela della persona offesa, che dovrà essere proposta nel termine di sei mesi. L’eventuale remissione della querela può essere esclusivamente processuale. Tuttavia, esso è procedibile d’ufficio nell’ipotesi del comma 4 (quando la persona offesa si trova in condizione di inferiorità fisica o psichica o in stato di gravidanza) nonché quando il fatto è commesso in concomitanza con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Non è prevista espressa tutela, invece, per coloro che rimangono vittime di una nuova subdola forma di molestia sessuale digitale: il cyber flashing. Si tratta di un fenomeno, in Italia ancora poco diffuso ma molto frequente nei paesi anglosassoni, che consiste nell’invio, a titolo anonimo, di immagini con contenuti espliciti e offensivi a dei perfetti sconosciuti tramite l’opzione di AirDrop negli iPhone o semplicemente attraverso il Bluetooth negli altri smartphone.

Con questa nuova tipologia di molestia telefonica, il molestatore non ha bisogno di svelare la propria identità né di conoscere quella della sua vittima o avere il suo contatto, ma gli basterà essere munito di alcuni dispositivi per la condivisione in prossimità.

Questa funzionalità permette di condividere foto con persone a caso, che si trovino entro un certo raggio di distanza. Infatti, il cyber flashing si verifica tipicamente in luoghi in cui persone sconosciute fra loro si trovano a distanza ravvicinata, quindi soprattutto sui mezzi di trasporto, nelle stazioni o nei bar. Spesso le immagini hanno ad oggetto nudi del mittente stesso o immagini provenienti dal web e sono ricevuti senza il consenso del destinatario. Alla vittima, infatti, non solo comparirà l’immagine oscena in anteprima, senza possibilità di accettarla o meno, ma avrà l’inquietante certezza di essere vicina al suo stesso carnefice.

Come si diceva sopra, per le vittime di queste condotte non è ancora prevista tutela di tipo legislativo, data la poca diffusione, ma è possibile solo fare prevenzione, disattivando AirDrop o il Bluetooth, tenere in sicurezza il proprio cellulare e non accettare files dagli sconosciuti.