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Legge & Diritto. Si può diventare proprietari di un immobile ereditato con l’usucapione se si ha solo una quota ?

Il proprietari di una sola quota di un immobile ereditato può con l’usucapione estromettere gli altri eredi? Vediamo cosa dice la legge

Innanzitutto bisogna capire cos’è e come si applica l’usucapione. In pratica si tratta di appropriarsi di un bene altrui  che sia mobile o immobile, senza che il  titolare abbia dato il consenso, senza un contratto di compravendita, un atto di donazione, una successione ereditaria e persino senza bisogno dell’intervento del notaio.

In linea generale basterebbe utilizzare il bene altrui per almeno 20 anni senza che il legittimo titolare ne rivendichi la proprietà… ed è fatta! Appunto in “linea generale” ma nei fatti non basta solo l’uso del bene per rivendicarne la proprietà tramite usucapione. Se fosse così semplice, anche un inquilino in affitto da oltre 20 anni diverrebbe proprietario dell’appartamento.

Dunque non è così semplice, ma ci vuole ben altro e per chiarire meglio il concetto utilizziamo come esempio il caso di tre fratelli che ricevono in eredità dal padre un’immobile e che sia un solo erede ad utilizzarlo anche saltuariamente. Gli altri due, per svariati motivi personali, non utilizzano mai la proprietà. A questo punto il fratello che lo usa, dopo 20 anni vorrebbe rivendicarne l’integrale proprietà perché secondo lui si sarebbero verificati, i presupposti per l’usucapione. Può farlo? A fare chiarezza interviene una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32413/2022.

Vediamo alcuni esempi pratici

Un inquilino ad esempio deve smettere di pagare l’affitto, questa operazione infatti è il riconoscimento in modo tacito l’altrui proprietà; deve eseguire dei lavori di ristrutturazione all’interno dell’immobile, cambiarne la destinazione d’uso, sostituire la serratura della porta d’ingresso, ecc… e tutto questo senza l’autorizzazione del locatore e soprattutto e senza che questi agisca contro di lui nel corso di tali 20 anni.

Altro esempio,  quando il bene è in comunione ereditaria tra più soggetti. In questo caso ciascun erede acquisisce una quota di proprietà del bene e se si tratta di una casa, ciascun erede è comproprietario dell’immobile e  può usarlo liberamente nella sua interezza, senza poter impedire agli altri coeredi di fare altrettanto. Questo perché la percentuale di comproprietà non è su una specifica sezione della casa (ad esempio il salotto, una camera da letto), ma sul bene nel suo complesso.

Tale situazione di comproprietà permane fin quando gli eredi non decidono di dividere la comunione ereditaria. La richiesta potrebbe essere presentata anche da uno solo di questi il quale, dinanzi all’eventuale opposizione dei coeredi, può fare ricorso al tribunale perché effettui la cosiddetta divisione della comunione. La divisione passa attraverso una serie di fasi. Innanzitutto si verifica se il bene possa essere diviso in natura, assegnando a ciascun coerede la proprietà di una specifica parte del bene. Se ciò non è fisicamente possibile, allora si verifica se uno dei coeredi è intenzionato ad acquisire le quote degli altri, liquidandone il controvalore in denaro. Dinanzi a più richieste, il giudice deve innanzitutto preferire chi già vive nell’immobile e, in secondo luogo, chi ha la quota maggiore.

Se non è possibile neanche l’assegnazione del bene, il giudice dispone la vendita forzata dell’immobile all’asta giudiziaria, dividendo il ricavato tra i vari coeredi.

Ciò premesso, ciascun erede può anche usucapire le quote degli altri coeredi, divenendo proprietario dell’intero immobile, a patto che lo utilizzi per almeno 20 anni senza che nessuno agisca contro di lui. Ma in questo caso ci sono  regole diverse rispetto all’usucapione in generale.

Non è innanzitutto richiesta l’interversione del possesso: l’erede utilizzatore non deve cioè comportarsi manifestamente come se fosse il proprietario, proprio perché egli è già proprietario (seppure di una quota) e quindi ha diritto, per legge, ad atteggiarsi come tale. Anche l’eventuale avvio di lavori di ristrutturazione rientrerebbe nelle sue facoltà, stessa cosa per l’abbattimento di un albero che sarebbe considerato un potere legittimo, e così via.

In pratica, per reclamare la proprietà per usucapione della casa in eredità, è richiesto un atto che impedisca agli altri coeredi di utilizzare il bene. Il semplice fatto che questi si siano spontaneamente astenuti dal goderne non andandovi a vivere, non è sufficiente. Quindi, tanto per fare un esempio, è necessario che l’erede in questione apponga un cancello all’ingresso dell’immobile senza consegnare il duplicato della chiave ai fratelli, sostituisca la porta di ingresso senza consegnare il duplicato delle nuove chiavi ai coeredi, ecc…, il tutto senza che gli latri fratelli sporgano denuncia.

In conclusione: un erede può diventare proprietario della casa ereditata, nonostante la comproprietà di altri coeredi, solo se impedisce a questi ultimi di utilizzare il bene e questi non gli fanno causa. Il coerede non usucapisce quindi l’immobile ereditario solo perché gli altri si astengono dal farne uso.

A fronte di quando chiarito, non ci può essere usucapione se i fratelli si sono astenuti dall’abitare la casa del padre per loro volontà, ma solo per un impedimento realizzato dal fratello non contestato con denuncia.