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L’embargo al petrolio russo costerà all’UE 2 miliardi al mese e non ridurrà le capacità militari di Mosca

Le ultime sanzioni dell’UE, con l’accordo ancora da raggiungere per il veto ungherese, puntano sul bando del petrolio russo per ridurre le capacità militari di Mosca, ma oltre a non raggiungere questo obiettivo, avranno impatti negativi sulla stessa Unione che spenderà 2 miliardi al mese in più per cambiare i fornitori

Le sanzioni dell’Europa alla Russia sono un’arma a doppio taglio e questo ormai lo sanno tutti, ma qualcuno spera che pur affossando le economie degli Stati dell’Unione, ridurranno le capacità militari di Mosca. Speranze che però si infrangono sulla realtà. La Russia oggi, senza rivolgersi al mercato esterno, dispone in abbondanza di quasi tutto ciò che serve alla sua industria bellica. E solo questo è sufficiente a rendere inefficaci le misure economiche che l’Ue sta adottando per ridurne nel breve termine le capacità militari.

Sul campo, le forze armate russe continuano con apparente lentezza ma in modo costante ad acquisire il controllo di pezzi di territori ucraini. Dopo Mariupol, ormai russa, anche la città di Severodonetsk sembra destinata, nel giro di poche ore alla totale occupazione. È chiaro che la situazione può sempre cambiare, ma al momento, la guerra sembra evolversi in favore dei russi.

Dalle dichiarazioni di tutti i contendenti, Mosca da una parte e ucraini, Stati Uniti, Nato e Ue dall’altra, pare che i combattimenti dureranno a lungo, nessuno infatti parla seriamente di Pace o almeno di un cessate il fuoco. La situazione attuale dunque durerà fino a quando entrambe le parti non si convinceranno che per loro è più conveniente cercare un accordo che continuare a combattere. A quel punto l’accordo non potrà che cristallizzare le posizioni acquisite in quel momento sul terreno, che solo successivamente potranno essere ridiscusse con ritiri dalle zone occupate o scambi di territori. Ma non prima.

Ma torniamo all’ultimo accordo, ancora da raggiungere, dell’UE che contiene il bando del petrolio russo. Il varo di questo sesto pacchetto potrà essere una vittoria politica che servirà a dimostrare la coesione della UE, ma sarà poco incisivo sulle operazioni militari russe in Ucraina.

La sanzione “principe” riguarda il divieto d’importazione del petrolio, (con le eccezioni, di Repubblica Ceca, Bulgaria, Ungheria) che per la Russia avrà effetto solo da gennaio del prossimo anno, mentre per l’Europa comporterà già da subito un aumento del costo del greggio a tutto vantaggio di Mosca che vedrà gli introiti aumentare. Oltretutto il divieto in vigore solo da gennaio prossimo si applica esclusivamente ai trasporti via mare, ovvero a quelli che possono cambiare destinazione senza problemi in quanto la petroliera oggi diretta in un paese UE può poi dirigersi ovunque perché di fatto non è tracciabile.

Facciamo un esempio per capire meglio cosa potrà succedere: la Russia vende il carico a una nazione terza che a sua volta, a prezzi maggiorati, lo rivende a una nazione UE “ubbidiente”. Come diciamo noi in Italia “fatta la legge trovato l’inganno”.

Inoltre la Russia, oltre ad essere una grande esportatrice di combustibili fossili e prodotti energetici, ha un’importante esportazione metallurgica (acciaio, di cui Mosca è il 5° produttore al mondo, rame, leghe di rame, nichel) e prodotti dell’industria chimica. Quindi Mosca anche senza rivolgersi al mercato esterno dispone in abbondanza di quasi tutto ciò che può servire alla sua industria bellica per la componentistica e per il munizionamento. Le “terre rare”, che servono per alcune componentistiche di alta tecnologia, possono agevolmente esserle fornite dalla Cina, che già oggi, con un inter-scambio valutato in oltre 110 miliardi di dollari, è il suo primo partner commerciale.

Mosca ha anche la capacità in proprio di integrare e potenziare quanto impiega sul fronte senza bisogno di acquisire dall’estero, situazione a cui in passato la Russia ha fatto ricorso molto di rado. Ma la Russia essendo anche esportatrice di prodotti alimentari e materie prime per la loro produzione, appare autosufficiente anche nel settore alimentare.

Assodato che le sanzioni non avranno effetto sulla guerra, resta da capire quanto possa essere nell’interesse europeo ritrovarsi ai propri confini non solo un’Ucraina da ricostruire, con Nord Africa e Medio Oriente sempre più impoveriti che produrranno flussi migratori che non potranno essere contenuti.

Infine c’è il danno economico causato dal” embargo al petrolio russo, che per Mosca è mitigato dall’esportazione in Asia mentre l’Europa, secondo Rystad, società indipendente di ricerca energetica e business intelligence con sede a Oslo, Norvegia, i costi aggiuntivi per i paesi Ue potrebbero raggiungere i 2 miliardi di euro al mese.

Mosca infatti reindirizzerà parte dei barili precedentemente destinati all’Ue in Asia, tra Cina, India e lo Sri Lanka che da sempre ha penuria di carburanti. Ma l’embargo sarà doloroso per l’Europa che dovrà a sua volta compensare il venire meno dei carichi russi comprando da altri fornitori, verosimilmente a prezzi più alti e magari gli stessi che la Russia gli ha venduto.

E proprio su questa ipotesi l’ambasciatrice americana all’Onu Linda Thomas Greenfield rispondendo ad una domanda sui nuovi acquirenti asiatici del petrolio di Mosca ha detto: “Abbiamo già sanzioni forti sul petrolio russo, e i paesi che considerano di comprare il petrolio russo, in particolare, vista la decisione presa dagli europei, stanno violando le sanzioni. Se lo fanno saranno ritenuti responsabili“. Ed ha aggiunto: “Speriamo che si uniscano a tutti noi nell’assicurare che la Russia non li usi per violare le sanzioni imposte per convincere Mosca a porre fine alla guerra in Ucraina”.

La Russia è il terzo produttore di petrolio al mondo dopo Stati Uniti ed Arabia Saudita. Dispone di riserve per 107 miliardi di barili, le seste più grandi al mondo dopo Venezuela, Arabia Saudita, Iran, Canada e Iraq. A parte il Canada questi paesi sono tutti membri dell’Opec, l’organizzazione dei grandi produttori, che sinora non ha accolto le richieste occidentali di aumentare la produzione per calmierare il costo dei barili.