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L’Europa bacchetta l’Italia sullo stop alla Corte dei conti per i controlli sul Pnrr, ma il Governo pone la fiducia

La Commissione Europea non condivide la legge che lunedì sarà in aula con la fiducia: “Monitoreremo. I controlli spettano all’Italia”. Da palazzo Chigi rispondono: “La Commissione non alimenti polemiche infondate e dannose”. E in otto punti spiega perché. Ma gli emendamenti al decreto sulla Pa tolgono potere di controllo alla Corte e al Parlamento


Ieri pomeriggio una portavoce della Commissione Ue ha dato corpo ai sospetti e alle tensioni che già si erano create in Italia. La bacchettata arrivata sotto forma di “osservazioni” della portavoce per l’Economia e gli affari sociali della Commissione che ieri nel briefing di mezza giornata dell’esecutivo comunitario ( a Bruxelles funziona così, le cose vengono spiegate a voce ai giornalisti) ha precisato che il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf), ovvero il Fondo Ue che finanzia il Pnrr, “richiede un quadro di audit e controlli su misura e proporzionato alla sua natura unica di programma di spesa dell’Ue basato sui risultati”.
La novità di togliere il potere di “controllo concomitante” alla magistratura contabile e di conseguenza anche al Parlamento, dunque non piace a Bruxelles. I due organismi erano stati individuati da Draghi come necessari per controllo e verifica semestre per semestre. “I controlli spettano al paese titolare del finanziamento – ha precisato la portavoce Veerle Nuyts – alla Commissione il check e la parola finale sulla rata del semestre”.

Da notare che la rata di 19 miliardi relativa al semestre concluso il 31 dicembre 2022 non è ancora stata pagata. E che il 30 giugno scada un’altra rata (27 obiettivi e 19 miliardi) i cui aggiornamenti certificano ritardi difficilmente recuperabili. Non solo: l’ultima relazione della Corte dei conti (marzo 2023) individua “molte criticità” a cominciare dal fatto che “i contratti a tempo indeterminato nella Pa nei team per il Pnrr creano buchi a livello di competenze e mano d’opera nei vari uffici pubblici”. Se non riusciamo a spendere è anche per mancanza di mano d’opera stabile. Da qui il decreto Pa che lunedì andrà in aula alla Camera. Il quale decreto però stabilizza poco o nulla – prova ne è la fuga di tecnici dalle varie amministrazioni – mentre invece è diventato l’alibi per i due emendamenti che Bruxelles, pur con la necessaria e dovuta distanza, giudica critici ai fine della realizzazione del Pnrr: l’abolizione del potere di controllo concomitante da parte della magistratura contabile e la proroga di un anno dello scudo per il danno erariale per sindaci e amministratori. E, per di più, farlo con la motivazione che sono “controlli dannosi perché fanno perdere tempo”.

Ieri a fine mattinata, rispondendo ad una domanda nel briefing quotidiano con la stampa (là funziona così: i giornalisti hanno la possibilità almeno due volte la settimana di incontrare i portavoce per chiarire e capire), Bruxelles aveva spiegato che, poiché si tratta di un progetto di legge, non vi sono gli estremi “per entrare nel dettaglio” e dunque si seguiranno gli sviluppi della norma. In linea generale, però, “i sistemi di controllo nazionali costituiscono i meccanismi principali per proteggere gli interessi finanziari dell’Ue e sono gli Stati membri che devono assicurarsi che non ci siano conflitti d’interesse e o frodi”. Un concetto molto simile a quello espresso il giorno prima dal Commissario Paolo Gentiloni. “L’Italia – ha sottolineato il portavoce – ha un sistema di controllo solido”. Almeno per ora. La postilla è stata: “Su frodi e conflitti di interesse la Ue non può intervenire direttamente. E’ una responsabilità delle autorità italiane ed esiste un accordo con l’Italia sulla necessità di avere un sistema di controlli efficace per quanto riguarda la spesa dei fondi del Pnrr”. Tradotto: finora è andata bene, se cambiate qualcosa, valuteremo in seguito.

Polemiche e scontri a parte, una cosa è certa: i due emendamenti eliminano due filtri di controllo, ma il governo non intende tornare indietro e in serata risponde con una nota di 8 punti.
“Le proposte” sulla Corte dei Conti – spiega il comunicato del governo – “non modificano quanto già concordato tra Commissione europea e Governo italiano e la disciplina dei controlli della Corte, istituita dal governo Draghi “non solo resta in vigore ma viene pienamente attuata”. L’intervento della portavoce “è rispettoso della Costituzione e delle prerogative della Corte dei conti” in un paese come l’Italia in cui “tutto è improntato alla leale collaborazione tra le istituzioni”. Prova ne sia il parere di alcuni costituzionalisti. L’ultimo dei quali è Sabino Cassese che proprio ieri ha detto che “il governo ha fatto bene” e che certi controlli “corrispondono solo ad un esercizio di potere”.

Palazzo Chigi ha sottolineato anche l’istituzione del tavolo di confronto concordato con la Corte dei Conti al termine di un “lungo, cordiale e proficuo” incontro avvenuto mercoledì quando il presidente Carlino è stato audito prima in Commissione e poi a palazzo Chigi.

Ma i magistrati contabili però vedono la cosa in maniera opposta. L’Anm della Corte dei Conti ieri ha espresso “molta preoccupazione” per la doppia mossa dell’esecutivo: lo stop al controllo concomitante e la proroga dello scudo erariale. “Protrarre l’esclusione della responsabilità per colpa grave pone rilevanti dubbi di costituzionalità e di compatibilità con la normativa comunitaria e genera un clima di deresponsabilizzazione, che non rafforza, ma depotenzia, l’efficacia dell’azione amministrativa”. Non solo: l’avvio del cosiddetto tavolo è un pannicolo caldo che non risolve nulla. Anzi, assomiglia un po’ ad una presa in giro. Il governo è solito “risolvere” i contrasti aprendo tavoli (ad esempio con i sindacati). Nel frattempo va avanti e fa come vuole. Quindi dicono no agli emendamenti. Che invece lunedì saranno in aula e probabilmente con la fiducia. Il presidente Carlino ha ribadito il suo pensiero davanti al Parlamento e al governo. “I ritardi non dipendono dai nostri controlli” ha spiegato mettendo in guardia “dall’aumento di atti illegittimi e ricorsi”. Carlino è anche “assolutamente contrario allo scudo per gli amministratori” negando che sia la “paura della responsabilità erariale a bloccare le firme necessarie alla realizzazione delle opere”. Le firme non arrivano perchè c’è “confusione legislativa, scarsa preparazione e organici ridotti”. E però il governo è andato avanti lo stesso.

La trattativa con Una volta convertito il decreto passerà all’esame del Quirinale. Il Presidente Mattarella giusto dieci giorni fa ha richiamato i presidenti di Camera e Senato per dire basta alla decretazione d’urgenza su ogni tema e violando i criteri dell’urgenza dell’omogeneità. Il governo è fatto così: dice Sì poi fa come gli pare.

Il rischio è che tutto questo potrebbe complicare ancora di più il negoziato con la Ue sul Pnrr. L’ok della Commissione alla terza rata del Piano continua a non vedere la luce. E all’orizzonte la trattativa per il nuovo Pnrr modificato – con l’aggiunta del RepowerEu e di cui si conosceranno i dettagli al 90 minuto, cioè a fine agosto – si preannuncia difficile. Sia per la portata delle modifiche che Roma potrebbe chiedere (inclusi alcuni target legati al Superbonus) sia per la tempistica: se il negoziato iniziasse dopo l’estate a rischio ridimensionamento non sarebbe solo la rata di giugno ma anche quella dicembre, entrambe basate su un Piano ormai vecchio. Sarebbero circa 40 miliardi non incassati che andrebbero a pesare direttamente sul nostro debito pubblico. Tre punti e mezzo di pil che si andrebbero a mangiare in un sol boccone il +1% di crescita che i vari istituti assegnano all’Italia.