Zelensky ha detto per la prima volta che l’Ucraina sta portando avanti operazioni per “spingere la guerra” in territorio russo, ma in realtà, consapevole di essere vicino alla sconfitta, ha fatto una mossa dettata dalla disperazione che ad oggi ha portato oltre mille dei suoi soldati alla morte
Molti media enfatizzano gli attacchi portati dalle truppe ucraine in territorio russo, descrivendoli come una riscossa di Zelensky, ma per chi conosce le dinamiche di guerra come il Generale ed esperto di tattiche militari italiano Maurizio Boni, quella del Presidente ucraino è la mossa della disperazione di chi è consapevole di essere vicino alla sconfitta. I media occidentali filo ucraini, hanno spesso adottato “comunicazioni mirate” tipiche della propaganda dei conflitti bellici.
Ma non tutte le analisi sono di parte, quella contenuta in un articolo di Anna Lombardi su Repubblica, che prende spunto dalle recenti rivelazioni del New York Times, descrive un altro scenario: “Il 12 Luglio il Ministro della Difesa russo Andrey Belousov chiamò l’omologo americano Lloyd Austin e gli chiese se era a conoscenza di un’operazione segreta di Kiev contro la Russia e se c’era il nulla osta americano, avvertendo che in quel caso il rischio di “un’escalation fra le due potenze nucleari sarebbe stato concreto”. Lloyd rispose che Washington non ne sapeva niente, poi contattò gli ucraini per avvisarli che da parte americana non ci sarebbe stata nessuna autorizzazione per agire in tal senso.
Secondo questa ricostruzione risultano chiare due cose: la prima, che Zelensky ha “disobbedito” a Washington e che gli attacchi di questi giorni sono stati compiuti senza l’autorizzazione della Casa Bianca. Secondo, come hanno rivelato alcune fonti di Repubblica, che Mosca era a conoscenza già da tempo dell’iniziativa di Kiev nel Sud Ovest del territorio sovietico. D’altronde è difficile pensare che i servizi segreti di Putin e il suo apparato militare si siano fatti cogliere impreparati. Quindi se i russi sapevano un mese prima delle intenzioni di Zelensky, il dubbio che li abbiano lasciati fare sorge spontaneo.
Escludendo un clamoroso flop dei servizi segreti russi, la domanda è: perché li hanno lasciati fare? Secondo la dettagliata ricostruzione di Repubblica, la risposta logica sembra essere una sola: ai russi questi attacchi fanno comodo sia sul fronte interno, per unire il popolo stanco del protrarsi dei combattimenti in una reazione emotiva a difesa della patria, ma soprattutto su quello esterno, perché ora possono giustificare un’azione ancora più dura e mirata per mettere fine al conflitto arrivando, come ha detto Medvedev, fino a Kiev ed oltre. Ed è proprio questa la prospettiva che spaventa gli Usa.
Quello di Zelensky è stato un azzardo che costerà molto caro: può un esercito che dipende dall’Occidente per l’invio di armi e a corto di uomini, riuscire ad interrompere le consegne di gas russo all’Europa, anche nella speranza di farne un punto di leva in eventuali negoziati? I primi a non crederci sono proprio gli americani, che sono molti irritati per le mosse di Zelensky. Secondo quanto ha scritto la Lombardi “L’America di Biden, in periodo elettorale è interessata a mantenere bassi i prezzi del gas e infatti si è opposta più volte agli attacchi alle forniture logistiche russe”.
Il capo di stato maggiore Sirsky ha già riferito diverse volte riguardo alla situazione al fronte, dichiarando che le azioni vogliono spingere la guerra nel territorio dell’aggressore, ma sul campo la porzione di territorio colpito è irrisorio. Secondo l’ultimo rapporto quotidiano dell’ISW, l’Istituto per lo studio della guerra americano, le truppe ucraine sono riuscite a penetrare nel territorio russo per meno di 20 chilometri e non per 35, come riportato in precedenza. Inoltre, sebbene venerdì notte sia stato diffuso un video che mostra soldati ucraini vicino al centro della città di Sudzha, a circa 8 chilometri dal confine, l’ISW non è stato in grado di confermare che la città sia effettivamente sotto il controllo ucraino.
L’incursione lanciata da Kiev dentro al territorio russo, ha messo in moto la violenta e prevedibile risposta delle forze armate russe che hanno colpito la notte scorsa quelle ucraine nel tratto di confine della regione di Kursk, usando anche una bomba termobarica: “L’equipaggio di un cacciabombardiere supersonico multifunzionale Su-34 delle Forze Aerospaziali ha effettuato un attacco notturno contro un gruppo di uomini ed equipaggiamenti militari ucraini in una zona di confine della regione di Kursk”, si legge in un comunicato del ministero della Difesa russo. “Nell’attacco è stata utilizzata una bomba esplosiva aria-combustibile Odab-500 (da 500kg, ndr), con un modulo universale di planata e correzione”, conclude la nota.
Successivamente, il dicastero ha informato che ha colpito con un missile a testata termobarica il sito di dispiegamento di mercenari stranieri nella periferia meridionale di Sudzha, nella regione di Kursk. Ed è da qui che parte la vera controffensiva russa, con l’uso di ordigni termobarici, sviluppati negli anni ’60, che hanno effetti devastanti. L’esplosione trasforma l’ossigeno in una fiammata di morte, la pressione che spappola organi e corpi: gli ordigni termobarici, una bomba e un missile, utilizzati dai russi a Kursk contro le forze ucraine sono considerati tra le più micidiali armi convenzionali sinora sviluppate.
In termini tecnici, una bomba termobarica funziona in due fasi: una carica esplosiva disperde combustibile nell’aria, che si trasforma a contatto con l’ossigeno in una nuvola infiammabile che può infiltrarsi in edifici, tunnel, ambienti non sigillati. Una seconda carica accende la nuvola, generando un’esplosione ad alta temperatura e un’onda d’urto prolungata, con una pressione e un calore che devastano l’area nel raggio d’azione, dove dopo l’esplosione non rimane più nulla.
Redazione Fatti & Avvenimenti