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Migranti, c’è l’accordo Ue: esulta Meloni, ma è una vittoria di “Pirro”. Due Paesi hanno votato contro e 4 si sono astenuti

Alla fine il Consiglio Europeo ha trovato l’accordo sul patto per le migrazioni, che andranno ora negoziati con il Parlamento, ma con l’astensione di quattro Paesi membri, Slovacchia, Lituania, Malta e Bulgaria e il voto contrario di Polonia e Ungheria


Alla fine l’accordo l’accordo sul mandato negoziale per i due principali regolamenti del Patto per le migrazioni e l’asilo, è stato raggiunto, ma non all’unanimità. Lo ha annunciato la presidenza svedese dell’Ue, a Lussemburgo, per bocca della ministra per le Migrazioni, Maria Malmer Stenergard, subito dopo il voto. Per arrivarci sono state necessarie dodici ore di negoziato e due tentativi di voto, ma alla fine con i voti contrari di Polonia e Ungheria e l’astensione di Malta, Lituania, Slovacchia e Bulgaria, il nuovo accordo è stato approvato.

L’Italia che ha votato a favore, ha spinto i negoziati soprattutto con il ministro Matteo Piantedosi che nel suo primo intervento aveva parlato di una riforma “destinata al fallimento”. che ha detto: “L’Italia ha ottenuto il consenso su tutte le proposte avanzate. In primis, abbiamo scongiurato l’ipotesi che l’Italia e tutti gli Stati membri di primo ingresso venissero pagati per mantenere i migranti irregolari nei propri territori. L’Italia non sarà il centro di raccolta degli immigrati per conto dell’Europa”.

Piantedosi ha aggiunto che “Abbiamo ottenuto la creazione di un nuovo fondo europeo per i Paesi terzi di origine e transito dei flussi per la dimensione esterna e nel sistema, come misura di solidarietà obbligatoria complementare ai ricollocamenti, è prevista anche la compensazione dei dublinanti”.

Ma proclami a parte, le regole di Dublino rimangono comunque in vigore : la responsabilità dei migranti arrivati è in capo allo Stato di primo arrivo per 24 mesi (12 mesi per gli arrivi con le operazioni Sar). La procedura per la gestione della richiesta d’asilo per i provenienti da Paesi con bassa probabilità di accoglimento dovrebbe essere gestita in dodici settimane.

L’accordo trovato dal Consiglio è dunque solo un primo passo e la palla ora passa ai negoziati con il Parlamento europeo (che aveva già approvato la propria versione dei testi proposti dalla Commissione) e l’obiettivo, come ha ricordato la presidente del Pe, Roberta Metsola, è arrivare all’approvazione definitiva entro la fine della legislatura e proprio su quest’ultima ipotesi lo stesso Piantedosi ha detto “Vediamo”.

Una vittoria di Pirro dunque, basta infatti guardare i numeri degli sbarchi, che in questo metà di 2023 sono stati più di 53mila, con lo spettro che a fine anno si sfondi quota 150mila. Un incubo per il governo che ha puntato la campagna elettorale sulla promessa di bloccare i flussi migratori e di costringere l’Europa a condividerne il peso.

Il governo quindi punta tutto su questo nuovo accordo che prevede:

gli Stati dovranno dare sostegno ai Paesi in difficoltà con la disponibilità ai ricollocamenti o in alternativa al pagamento di 20 mila euro per ogni migrante non ricollocato. L’Italia però ha rifiutato la compensazione e ha chiesto che venga destinata a un fondo europeo per la dimensione esterna, a favore dei Paesi terzi. “Abbiamo rifiutato ogni possibile compensazione in denaro perché non ritenevano che la dignità del nostro Paese potesse mettere in campo soluzioni di questo tipo”, ha spiegato Piantedosi.

L’altro elemento di novità riguarda il doppio binario per la gestione degli arrivi al confine. I migranti di provenienza da Paesi terzi con bassa probabilità di ottenere l’asilo saranno trattati con una procedura accelerata per il rimpatrio verso Paesi terzi sicuri, anche di transito. Elemento che aveva portato la Germania a bloccare tutto l’accordo perché rivendicava maggiori condizioni per la definizione sia del “Paese terzo sicuro” che la connessione del migrante con il Paese di transito verso cui sarebbe rimpatriato. Anche in questo caso l’Italia sembra aver chiuso la trattativa a proprio favore.

“Alla fine abbiamo trovato una formulazione nel testo che potesse consentire una conciliazione tra le diverse posizioni sulla definizione del Paese terzo sicuro. Una formulazione che non fosse troppo stringente, vincolante, che depotenziasse il testo. L’Italia non aveva in mente nulla che fosse lesivo del quadro giuridico del diritto internazionale e su questo è stata compresa”, ha raccontato ai giornalisti il capo del Viminale.

“Dipenderà dagli Stati membri applicare il concetto di ‘Stato terzo sicuro'” nel quale eventualmente trasferire un migrante “e determinare se esiste una connessione tra il richiedente e il Paese terzo a seconda che sia ragionevole per lui o lei andare in tale Paese”, ha confermato la ministra per le Migrazioni svedese, Maria Malmer Stenergard, che aveva la presidenza di turno del Consiglio. La commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson, è entrata ancora di più nel dettaglio: “Il testo include alcuni esempi su cosa sia la connessione del migrazione con il Paese di transito: se la persona ha vissuto o ha membri della famiglia nel Paese. Ma possono esserci anche altre possibilità”.