Uno studio da approfondire, mette in guardia tra un possibile legame tra i farmaci antidiabete dimagranti come la semaglutide e il rischio suicidi
E’ la conclusione di uno studio pubblicato su ‘Jama Network open’ al quale hanno partecipato i professori Corrado Barbui e Chiara Gastaldon dell’università di Verona, oltre a Georgios Schoretsanitis, psichiatra e ricercatore dello Zucker Hillside Hospital di New York negli Usa.
I ricercatori italiani però invitano alla prudenza e sottolineano la necessità di nuovi studi per chiarire il nesso causale tra questi farmaci e le ideazioni suicidarie. Un rapporto causa-effetto, infatti, al momento non è dimostrato.
Semaglutide, agonista del recettore Glp-1, è noto alle cronache anche per i pazienti ‘vip’ che lo avrebbero utilizzato per perdere peso in tempi brevi, da Elon Musk a Oprah Winfrey e Robbie Williams. La nuova ricerca ha attinto al database globale dell’Organizzazione mondiale della sanità sulle sospette reazioni avverse ai farmaci. Nello specifico – riferisce UniVr – sono state analizzate le segnalazioni di eventi avversi che comportavano pensieri suicidi, di autolesionismo e comportamenti o tentativi suicidari/autolesionistici associati a semaglutide e liraglutide, raccolte tra novembre 2000 e agosto 2023. Sono stati individuati 107 casi di persone con ideazione suicidaria collegati a semaglutide e 162 legati a liraglutide.
“Un risultato rilevante dello studio – spiegano i ricercatori, secondo quanto riporta l’ateneo veronese – è stato che semaglutide è associata in modo sproporzionato a segnalazioni di ideazione suicidaria. Questa associazione è rimasta statisticamente significativa anche quando i pazienti assumevano altri farmaci come antidepressivi o benzodiazepine, mentre non era significativa in persone che non assumevano antidepressivi, suggerendo un possibile aumentato rischio in persone con depressione o storia di depressione oltre che diabete e obesità.
Inoltre, la sproporzione era notevolmente più elevata per semaglutide rispetto ad altri farmaci antidiabetici per il diabete di tipo 2 e l’obesità come dapagliflozin, metformina e orlistat. Lo studio ha evidenziato questo aumento delle segnalazioni di idee suicidarie legato alla semaglutide, ma necessita di ulteriori indagini urgenti per chiarire i potenziali rischi e stabilire se esista davvero un nesso causale in questa correlazione”, precisano gli esperti che comunque ritengono il risultato del lavoro “particolarmente preoccupante dato l’uso diffuso e in espansione di semaglutide sia per la gestione del diabete che per la gestione dell’obesità”.
“Sulla base di questi risultati – afferma Gastaldon, che ha coordinato lo studio della Sezione di Psichiatria del Dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e scienze del movimento dell’università di Verona – suggeriamo che i medici che prescrivono semaglutide informino i loro pazienti sui rischi dei farmaci e valutino la storia psichiatrica e lo stato mentale dei pazienti prima di iniziare il trattamento con semaglutide, agendo con prudenza, valutando approfonditamente rischi e benefici in chi soffre di depressione o ha sofferto di depressione, ideazione suicidaria o tentati suicidi”.
Inoltre “incoraggiamo gli operatori sanitari a monitorare e consigliare i pazienti che utilizzano semaglutide a segnalare depressione nuova o in peggioramento, pensieri suicidari o eventuali cambiamenti insoliti dell’umore o del comportamento”.
“Studi futuri dovrebbero fornire uno sguardo più attento al rischio di ideazione suicidaria associata a semaglutide in persone con precedenti di disturbi psichiatrici o in persone con disturbi psichiatrici in comorbidità”, prosegue l’esperto. “Anche la tirzepatide – aggiunge – un duplice agonista dei recettori Gip e Glp-1 recentemente approvato per il trattamento dell’obesità, dovrebbe essere monitorata da operatori sanitari ed esperti di farmacovigilanza. Scoraggiamo l’uso di questo farmaco per impiego diverso da quello per il quale è stato autorizzato e senza alcuna supervisione medica, come successo in diversi Paesi”.
“I medici e i pazienti – puntualizza tuttavia Gastaldon – non dovrebbero interpretare questi risultati come prova della relazione causale tra ideazione suicidaria e semaglutide, poiché gli studi di farmacovigilanza non possono dimostrarlo, ma mostrano solo un’associazione tra l’uso di semaglutide e segnalazioni di ideazione suicidaria”.
Le ricerche in corso su semaglutide e rischio suicidi, rimarcano da UniVr, confermano “l’importanza di una tempestiva sorveglianza post-marketing proattiva. La farmacovigilanza raccoglie e analizzai casi di eventi avversi, fornendo un quadro sulla sicurezza dei farmaci nella vita reale, dove i soggetti possono essere esposti a una serie di farmaci aggiuntivi e possono avere comorbilità (notevoli criteri di esclusione degli studi clinici pre-marketing)”. Sia l’Agenzia del farmaco americana Fda che l’europea Ema stanno proseguendo la sorveglianza sul tema utilizzando diversi dati post-marketing.
Redazione Fatti & Avvenimenti