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Salute & Benessere. Talassemia: nuovi protocolli nella terapia genica


La talassemia è una malattia del sangue geneticamente trasmessa in cui l’organismo sintetizza un’anomala forma di emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi indispensabile per il trasporto dell’ossigeno nel sangue, con conseguente distruzione dei globuli rossi

Nei soggetti colpiti da i sintomi possono essere da quasi nulli a molto gravi, a seconda della forma di cui si è portatore.

Da un punto di vista generale i bassi livelli di emoglobina causano una carenza di ossigeno generalizzata, dovuta alla riduzione del numero di globuli rossi circolanti, che si traduce in diversi sintomi legati all’anemia, come pallore, debolezza, fatica e talvolta complicazioni più severe, come un aumentata suscettibilità alle infezioni, un aumento della dimensione della milza.

I sintomi nei bambini affetti in genere compaiono entro i due anni di vita in tutta la loro gravità, richiedendo un rapido intervento medico che consiste spesso nella necessità di periodiche trasfusioni di sangue (per tutta la vita). Questa terapia, purtroppo, comporta il rischio di progressivi danni multiorgano per l’inevitabile sovraccarico di ferro.

Ma oggi il sogno di non dipendere più dalle trasfusioni sembra sempre più vicino grazie ad una nuova terapia genica.

A inizio febbraio sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine (NEJM) i dati di uno studio clinico in cui è stata valutata l’efficacia e la sicurezza della terapia genica betibeglogene autotemcel (beti-cel, nome commerciale Zynteglo) per la beta-talassemia trasfusione dipendente (TDT) con genotipo non β0/β0.

La sperimentazione, iniziata nel 2016, ha coinvolto 20 pazienti, ed è stata condotta in nove centri clinici nel mondo, fra cui l’Ospedale Bambino Gesù di Roma. I risultati sono stati molto incoraggianti, con l’indipendenza dalle trasfusioni per un anno e oltre per il 91% di pazienti.

Il target del trattamento è la causa genetica all’origine della TDT, ovvero il gene della beta-globina A-T87Q. La terapia, somministrata in seguito a una procedura di mieloablazione, consiste nell’aggiungere copie funzionali di una forma corretta di questo gene nelle cellule staminali ematopoietiche (CSE) del paziente stesso, tramite un vettore lentivirale. Una volta introdotto il gene, il paziente è potenzialmente in grado di produrre emoglobina in quantità tali da ridurre notevolmente o eliminare la necessità di trasfusioni.

Come la maggior parte delle terapie avanzate, il trattamento viene effettuato una sola volta nella vita, con ricaduta positiva sulla qualità della vita delle persone.

I dati dello studio, presentati a marzo 2021, confermano la sicurezza e l’efficacia di beti-cel. Anche i risultati ottenuti nei bambini al di sotto dei 12 anni sono ottimi, fattore che potrebbe contribuire all’estensione delle indicazioni anche per le fasce di età più basse.

Salute & Benessere è una rubrica medica a cura del dott. Accursio Miraglia.