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Storie di Sicilia. L’invenzione del sorbetto e Il primo café di Parigi: una storia tutta siciliana


Ora sugnu fermu propriu ca, aviemu n’facci u cafè Procope, nun mi pari veru… a via raggnuni u ma prufissuri Nobile, valia a pena ri veniri ri Rausa finu a Parigi sulu sulu pa s’assistarisi e pigniarisi u surbettu…

“Cu nesci, arrinesci “, “Chi esce, riesce “: questa la traduzione letterale. Chi si allontana dalla propria terra, spesso, riesce ad avere successo.

Il mio professore di francese Nobile che, all’epoca dei miei studi presso l’Istituto tecnico Commerciale di Ragusa (Ragioneria…) con la sua competenza e dedizione nel trasmettere la propria materia “IL Francese”, riuscì oltre a farmi amare questa lingua anche a trasmettermi un amore incondizionato per tutto ciò che riguardava la Francia, dalla storia alla cucina, dalla letteratura al territorio; ma fra le tante cose che mi trasmise attraverso aneddoti e curiosità una storia mi incuriosì più delle altre… Un pomeriggio del 1984 nella seconda ora di lezione al suono della campanella il Nobile mi vide da lontano che ritardavo il rientro in classe perché stavo degustando un caffè… nella macchinetta adiacente alla Vice Presidenza e come di solito il Professore non mi richiamò ma approfittò dell’occasione per parlarci della nascita del primo caffè aperto a Parigi grazie a un Siciliano…

E fu così che con grande curiosità e stupore apprendemmo che Parigi ha un po’ di Sicilia nel cuore. Iniziò dicendoci che la storia della Ville Lumière è permeata d’italianità, dalla regina Caterina de’ Medici, fino all’architetto Renzo Piano (che progettò il Centro Pompidou). Tra le varie storie che legano l’Italia a Parigi, valeva la pena soffermarsi sulla nascita del Café “Le Procope”, il primo “Café” parigino, “che il buon Battaglia (mi menzionava così il mio professore Nobile… con una sottile ironia e un pizzico di goliardia…) sicuramente sconosce e così come penso la maggioranza di voi… cari allievi”.

E così ci esortò che se ci fosse capitato di passare da Parigi avremmo dovuto fare un salto a rue de l’Ancienne Comédie al civico 13 ci sarebbe stato ad attenderci “le plus ancien café du monde”. Il Nobile con la sua descrizione attenta e precisa ci trasportò di colpo davanti al Caffè Procope… otto finestroni al primo piano che sporgono su una bella balconata in ferro, con tanti vasi fioriti, per incorniciare “Le Procope”. Un monumento francese, non soltanto parigino, ricoperto dell’amore e del rispetto che i francesi accordano solitamente a ciò che amano. Con la consumazione avremmo avuto il diritto di ricevere la cartolina in cui avremmo letto che nel 1686 Francesco Procopio dei Coltelli, gentiluomo di Palermo, fondò in rue des Fossés Saint Germain (antico nome dell’attuale indirizzo) il suo primo caffè. Un piccolo marmo rotondo ci avrebbe ricordato ancora che qui Procopio portò per la prima volta i sorbetti in Francia.

Recentemente uno studioso palermitano, Marcello Messina, ha scoperto l’atto di battesimo del nostro celebre corregionale. Fu battezzato nella chiesa di Sant’Ippolito al Capo il 10 febbraio 1651, figlio di Onofrio e Domenica Semarqua. La scoperta chiarisce un altro aspetto importante giacché il cognome di Procopio non fu Coltelli o de’ Coltelli, ma il più palermitano Cutò.

È chiaro che, emigrato in Francia con la fierezza delle sue origini, volle dare un significato esotico al suo prodotto. Ecco allora che cambiò il proprio cognome da Cutò a “de’ Coltelli” che lo distinse più tardi come “gentiluomo di Palermo”: un’idea da manuale di marketing.

Emigrò appena ventenne, come si usa in una città che “alienos nutrit se ipsum devorat” come recita la scritta sotto il Genio di Palermo. “Cu niesci arriniesci” dicono i nostri vecchi per consolare chi parte: che sarebbe tradotto in italiano “chi va via avrà fortuna nella vita”. Funzionò per Procopio che nel 1675 impalmò la giovane Marguerite Crouin nella chiesa di Saint Sulpice. Dalla loro unione nacquero otto figli.

Ottenuta la nazionalità francese nel 1685, si risposò nel 1696 con Anne Françoise Garnier che gli diede quattro figli. Rimasto vedovo e ormai ricco il nostro Procopio non depose le armi convolando a nuove nozze nel 1717, a sessantasei anni, con la giovane Julie Parmentier da cui ebbe un altro figlio. In totale fanno ben tredici figli.

La carriera del nostro corregionale seguì la classica routine: cameriere nella “café house” dell’armeno Pascal, tentò la fortuna nel caffè con tale Logerot, un collega senza lavoro come lui. Il colpo di fortuna si presentò nel 1686 quando prese in affitto l’attuale locale che trasformò in residenza elegante e lussuosa. Lampadari in cristallo, specchi, tessuti alle pareti, tavoli in marmo per assaggiare dolci, caffè e liquori come il suo “Rosa del Sole” un palermitanissimo rosolio fatto con anice, coriandolo e aneto. Ai parigini servì “acque gelate” cioè granite, e sorbetti dai nomi fascinosi: fiori d’anice, fior di cannella, fragola, crema gelata, al succo d’arancia e al gelsomino. Pure un curioso sorbetto di frangipane – Plumeria acutifolia – più palermitana “pumelia”. Bravo!

Agli avventori offrì la possibilità di leggere un giornale, tenere conversazioni, fruire gratuitamente di inchiostro, penna d’oca e carta. Era fatta: i figli continuarono sulla scia del padre. Ma al successo concorse pure il trasferimento, proprio di fronte al cafè, della famosa “Comédie Française” che ci rimase dal 1689 al 1782. Insomma, non fu Procopio a cambiare sede, come si legge spesso, ma la Comédie a spostarsi. Sfacciatamente ebbe la fortuna dalla sua parte.

Diventò il luogo d’incontro degli artisti e di tutti coloro che di teatro vivevano. Da quel posto passarono uomini dal secolo dei lumi a quelli della Rivoluzione: Danton, Marat, Robespierre e pure un giovane ufficiale d’artiglieria che lasciò in pegno il proprio cappello, il militare “bicorne”. Si chiamava Bonaparte ed aveva bevuto troppo per le sue finanze. Ci litigarono Diderot e D’Alembert, Voltaire e Rousseau. Qualcuno di loro, con un pugno, sbrecciò il marmo di un tavolo che così rimase da allora. Il professore inoltre aggiunse che di ognuno dei famosi personaggi il personale addetto ai tavoli ci avrebbe raccontato amabilmente una storia, un aneddoto, un particolare magari piccante che ci avrebbe fatto venire la voglia di tornarci.

Fu il nostro Procopio a scoprire due cose importanti nella fabbricazione del gelato: lo zucchero invece del miele e il sale marino assieme alla neve per farla durare più a lungo. Di gelati si parla già nella Bibbia giacché Isacco ne offrì ad Abramo; li conoscevano i romani e li riportarono in auge i saraceni in Sicilia.

La famosa “patente reale” concessagli da Re Sole? Una delle tante leggende: si trattava soltanto di una licenza per avere la priorità nel trasporto della neve, indispensabile per la sua attività. Pescatore lui? Mai vista una rete al Capo, popolare rione palermitano, dove nacque e visse fino ai venti anni. Pazienza.

Tante le sciocchezze che si sono scritte su di lui e sulla sua attività. Fu soltanto un palermitano geniale baciato dalla fortuna. Forse perché qualcuno, quando lasciò per sempre Palermo, gli disse: “cu niesci arriniesci”.

Il racconto del professore finì appena in tempo al suono della campanella di fine lezione di francese… un’ora volata via senza che nessuno se ne fosse reso conto…

Ah dimenticavo due ultime cose importati a riguardo, la prima che il professore ci assegnò il compito da consegnare sull’argomento trattato, il riassunto di questa storia naturalmente in francese e la seconda conseguenza fu che io e due amici, Saro Bracchitta e sua cugina Lina, proprio quell’anno ci recammo in vacanza in Francia, visitando prima Lione e poi Parigi… Vi confesso che fra le tante cose che ho fatto e visto, un piacere l’ho realizzato… portai i miei cari amici a prendere il Sorbetto presso il decantato caffè Procope… e fu così che esclamai con grande patos “Valia a pena ri veniri a Parigi sulu sulu pi tastari u Sorbettu ri Procope”…

Storie di Sicilia è una rubrica quindicinale a cura di Salvatore Battaglia Presidente Accademia delle Prefi