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Tregua Ucraina, Putin pone 6 condizioni: sovranità su Crimea e regioni annesse, nuovo governo a Kiev e no a peacekeeper

Il dialogo per arrivare alla tregua di 30 giorni proposta dagli Stati Uniti e accettata da Kiev, come prevedibile, dopo il discorso di Putin, appare in salita. Il presidente russi ha detti si, ma pone sei condizioni difficili da mettere nero su bianco

Sicuramente non si può accusare il presidente russo Vladimir Putin di poca trasparente, nel discorso di ieri, seppur con toni pacati, ha detto chiaramente che la tregua e sulla guerra è possibile solo alle sue condizioni, che si riassumono in sei punti. Di fatto ha confermato si essere coerente con quanto ha affermato in questi tre anni e più, su ciò che vuole: riconoscimento della Crimea e delle quattro regioni annesse con referendum, mai ingresso dell’Ucraina nella Nato, una zona demilitarizzata senza soldati a presidiarne i confini e un nuovo governo a Kiev possibilmente filo-russo e rimuovere le cause profonde che hanno condotto alla guerra.

Il Washington Post ieri ha pubblicato un’esclusiva che illustra il documento di un think tank legato al Quinto servizio dell’Fsb, l’ex Kgb, la divisione dei servizi segreti russi che supporta le operazioni in Ucraina. Nel documento che è stato redatto a febbraio poco dopo i colloqui di Gedda con gli americani, emerge la linea del Cremlino racchiusa nelle 6 condizioni che Putin considera irrinunciabili per iniziare a sedersi al tavolo delle trattative e firmare una tregua. La più divisiva è quella che anche ieri Putin ha ripetuto senza neanche inventarsi parafrasi per non apparire noioso: “Rimuovere le cause profonde della guerra, per arrivare a una pace duratura”, ovvero tornare indietro a prima del colpo di Stato – leggasi piazza Maidan – del 2014. Con questa base di partenza, piani preliminari di Trump per un accordo di pace in 100 giorni diventano impossibili da realizzare, se tutto va bene, la pace arriverà nel 2026.

La prima condizione per arrivare almeno ad una tregua è che l’Ucraina riconosca la sovranità russa e non solo sulla Crimea, annessa da Mosca nel 2014, ma anche le quattro regioni annesse con referendum, Zaporizhzhia e Kherson nel Sud, Lughansk e Donetsk a est.

La seconda condizione, indicata anche nel documento dell’Fsb, è la caduta del governo Zelensky, tramite nuove elezioni dalle quali dovrà uscire vincitore un esecutivo filo-russo, o almeno neutrale. Di fatto sarebbe la denazificazione chiesta da Putin, completato dallo “smantellamento completo” dell’attuale governo ucraino. Altro punto focale è la rinuncia perpetua dell’Ucraina all’ingresso nella Nato anche in caso di cambi delle amministrazioni americane.

Kiev dovrebbe anche accettare la creazione di zone cuscinetto demilitarizzate nord-est in prossimità delle regioni russe di Bryansk e Belgorod, più volte colpite dalle forze di Kiev, e poi a sud, a ridosso della zona di Odessa e senza la presenza di peacekeeper, escluso soprattutto un contingente di pace in Ucraina formato da truppe di Paesi europei della Nato.

Nel rapporto dei servizi si legge ancora che la Russia potrà accettare al massimo di non schierare i suoi missili balistici a medio raggio Oreshnik in Bielorussia, sul confine con la Ue, ma gli Stati Uniti in cambio dovrebbero impegnarsi a non collocare nuovi sistemi missilistici in Europa. Inoltre, l’esercito ucraino dovrebbe ridursi numericamente, da un milione di uomini a poche decine di migliaia.

Ovviamente per fare scattare la tregua, dovrà esserci lo stop immediato di qualsiasi aiuto all’Ucraina, specie militare da tutto l’Occidente, quindi sia dagli Usa che dall’Europa, per evitare che l’esercito di Zelensky ne approfitti per riarmarsi e gli Stati Uniti di Trump, al momento della firma sull’accordo, dovrebbero dare togliere le sanzioni che dovranno essere state cancellate in toto. Naturalmente resta il nodo della missione di osservatori che dovranno verificare il rispetto del cessate il fuoco e le condizioni per la pace.

Putin, da abile mediatore non vuole rompere con Trump e l’obbiettivo più importante che vuole raggiungere è la normalizzazione delle relazioni diplomatiche Usa-Russia, l’eliminazione delle sanzioni e non ultimo dividere la Nato. Ecco perché il presidente russo vuole “prolungare i negoziati posizionandosi come un vero, autentico amico di Donald Trump, che lui capisce completamente e che, anzi, vuole aiutare a raggiungere i suoi obiettivi negli Stati Uniti”. Il leader russo, non dice no alla trattativa, ma la complica ponendo condizioni che richiedono lunghe trattative per essere risolte.PubblicitàPubblicità