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Unesco. COVID-19: popoli indigeni e tribali sfruttati e… impestati

“I colonizzatori europei nel quindicesimo secolo hanno portato il vaiolo nel nuovo mondo provocando una strage nei popoli indigeni – ricorda il presidente del club per l’UNESCO di Sciacca Lorenzo Salvagio – e oggi il covid-19 ha conseguenze terribili sui popoli indigeni che si trovano permanentemente in condizioni igienico- sanitarie disastrose”

Questa riflessione è di grande attualità per la Giornata Mondiale dei popoli indigeni che si celebra oggi 9 agosto. Il segretario generale dell’ONU António Guterres ha incentrato il suo messaggio relativo alle giornata sui comportamenti virtuosi che molti popoli indigeni hanno messo spontaneamente in atto per difendersi dalla pandemia e sulla condanna dell’intensificarsi delle azioni aggressive esercitate sui loro territori per sfruttarne le risorse naturali.

Il tema che quest’anno l’ONU ha voluto dare è “Covid19 e resilienza delle popolazioni indigene”.
“Molte di queste popolazioni si sono ancora una volta dimostrate capaci di esercitare una grande e antica saggezza – dice Lorenzo Salvagio – mettendo in pratica azioni di isolamento volontario e di chiusura dei loro territori. Hanno fatto così, per esempio, alcune popolazioni aborigene in Australia. Ma in molte parti del mondo dove il virus è arrivato, la mancanza di acqua, l’insufficienza dei servizi igienici e la sostanziale assenza di servizi sanitari hanno facilitato enormemente la propagazione del virus.”

Sono tante le organizzazioni che denunciano che oggi, come ai tempi della colonizzazione delle Americhe, i cosiddetti “civilizzatori” si impossessano di territori che continuano ad essere sfruttati da grosse imprese che con la presenza dei loro dipendenti introducono involontariamente anche l’infezione fra le popolazioni indigene.
E queste popolazioni vengono tre volte penalizzate: la prima perché vengono spogliate delle materie prime che si trovano nei loro territori, la seconda perché vengono in alcuni casi contagiate dalle intrusioni esterne e la terza perché vengono di fatto mantenute in condizioni di sottosviluppo che non consente loro di avere nemmeno le strutture sanitarie dove potersi curare.