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Il Fondo Monetario Internazionale certifica Putin: “Russia in crescita del 2,6%, sanzioni fallite”

Le sanzioni contro Mosca non hanno funzionato, a certificarlo è il Fondo Monetario Internazionale che ha alzato le sue previsioni per la crescita economica russa al 2,6% rispetto alla precedente stima dell’1,1%, con Putin che ha annunciato che nel 2024 la crescita del PIL potrebbe superare il 3,5%

Per molti analisti questi numeri sono uno choc, che danno ragione ad un Putin che si avvicina alle elezioni presidenziali con una sicurezza di vittoria superiore a quella delle elezioni precedenti. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, Mosca starebbe registrando risultati nettamente migliori rispetto alle previsioni, nonostante le sanzioni imposte alla Russia nel 2022, dopo l’inizio della guerra contro l’Ucraina. Dal Cremlino la scelta è quasi keynesiana: spendere, per i russi e per la guerra, portando il Paese a seguire e inseguire il trend delle altre economie emergenti, che si prevede cresceranno in media del 4,1% nel 2024.

Rispetto a quanto previsto dal Fondo nell’ottobre scorso, Mosca ha più che raddoppiato le stime di crescita. Si tratta della materializzazione di ciò che ha sempre definito come “Fortezza Russia”, ovvero un piano economico e politico a prova di sanzioni e boicottaggi: ed è esattamente quello che è accaduto, mentre in Occidente si scatenava la caccia all’oligarca e ai relativi yacht. Un’operazione pensata nei dettagli ad iniziare dallo sviluppo di reti alternative a quelle occidentali, in primis del sistema SWIFT e che è passata attraverso l’accumulo di riserve valutarie estere e la riduzione del debito pubblico.

Tutti numeri che mettono in dubbio l’efficacia delle 12 sanzioni con le quali i Paesi occidentali che negli ultimi due anni hanno tentato di bloccare svariati settori dell’economia russa, a partire dall’industria, finanza, beni a duplice uso, beni di lusso e trasporti, ma che di fatto il “surriscaldamento” che più di qualcuno – la Difesa britannica ad esempio – aveva previsto a novembre, a causa dell’aumento della spesa militare, del mercato del lavoro in crisi e della concomitante inflazione galoppante, non c’è stato. L’aumento della spesa per forze armate e per foraggiare l'”operazione speciale” al contrario, sta invece alimentando la crescita russa.

Con questi risultati Vladimir Putin gongola, annunciando che nel 2024 la crescita del PIL potrebbe superare il 3,5% citato dagli economisti russi un anno fa. Questo a causa di un previsto aumento della domanda interna di consumo e investimenti, oltre che investimenti pubblici da capogiro in settori come agricoltura, turismo, trasporti ed edilizia. Il meccanismo “virtuoso” russo sarebbe scatenato dalla stabilità dei prezzi delle materia prime che contribuiscono, a loro volta, a sostenere i ricavi delle esportazioni legate ai combustibili fossili.

Secondo autorevoli economisti, le sanzioni alla Russia non stanno funzionando, perché affette dal medesimo peccato originale del diritto internazionale: per valere, devono essere riconosciute da tutti. Come nel caso del Sudafrica durante l’apartheid. Le sanzioni, dunque, imposte da una porzioncina di mondo – tali è per estensione geografica e demografica la coalizione Occidentale – finiscono spesso per essere inefficaci se non controproducenti, abbattendosi prevalentemente sulla popolazione civile di chi li emesse.

Ne sono l’esempio più evidente i BRICS, ormai considerati dalle nazioni emergenti come l’arma per abbattere secoli di dipendenza, che hanno distrutto la speranza della partecipazione globale alle sanzione economiche per chi viola le regole, facendola diventare un’utopia. L’Iran che ha seguitato a contrabbandare petrolio, ne è esempio più lampante.

Mosca ha seguito l’esempio con un’abile manovra di costi di spedizione gonfiati e flotta “ombra”. Le stime andrebbero da un minimo di 100 a un massimo di 600 navi (ovvero il 10% almeno di tutte le navi cisterna esistenti): il range comprenderebbe sia le vecchie imbarcazioni che la flotta occulta gestita da intermediari di Mosca, Iran e Venezuela in cima, già colpiti da sanzioni occidentali. E i numeri continuerebbero a salire. Un complesso intreccio che passa anche da società di comodo i cui uffici sono a Dubai o Hong Kong. Un complesso circolo, dunque, quello delle sanzioni occidentali che, seppur alternativo alla guerra aperta, rischia nel lungo periodo di scadere nell’effetto boomerang, minando la credibilità del dollaro, come dimostrano gli ambiziosi piani di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.