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Storie di Sicilia. Un viaggio nel tempo a “Siracusa”, città millenaria, amata per la gentilezza delle sue genti

“Oh Sarausa, Sarausa mia! Quanta storia e quanta puisia – c’è in ogni angulu e in ogni via. Nascisti supra li scogghi a mensu o mari – ed eri tu accussi bedda ca’ ti faciutu taliari. Poi na’ terra ferma ti trasfiristi – e ‘na ranni città ti fascisti”

Era una giornata mite di un ormai lontano 23 giugno del 1967, si sentiva nell’aria un profumo di origano, di pino mediterraneo, di olivo. Passeggiavamo con la mia famiglia in un giardino che sembrava rubato all’Eden, tra i colori di una vegetazione lussureggiante, quand’ecco che di fronte a noi si aprì la vista di una gigantesca ferita nella parete rocciosa e sinuosa come l’incavo di una conchiglia procede verso l’oscurità, era l’orecchio di Dionisio, nome attribuito da Caravaggio (Recatosi nella città aretusea nel 1608 in compagnia dello storico siracusano Vincenzo Mirabella) alla profonda caverna artificiale modellata dai greci, era una meraviglia che lasciava a bocca aperta tutti coloro che per la prima volta osavano guardare tale costruzione.

Ero piccolo, avevo superato la quinta elementare e il mio caro padre per regalo decise di festeggiare tale promozione con l’andare a visitare la città che da sempre per lui era il fiore all’occhiello della sua Sicilia cioè Siracusa. L’incontro mi ha subito stupito, mi ha conquistato: non ero preparato a tanta bellezza e mi sono ritrovato a camminare per le vie di Ortigia, cuore della città, con gli occhi sognanti, fino a che l’azzurro del Mediterraneo mi aveva portato via nel tempo… fino all’epoca del massimo splendore quando i greci, popolo affascinante, crearono la decantata città di Siracusa.

Non è un racconto d’altri tempi e nemmeno un romanzo d’avventura, anche se camminando nella Latomia del Paradiso di Siracusa ho avuto la sensazione di essere proiettato in un’altra dimensione. Avevo già studiato un po’ di storia sulle colonie greche in Sicilia, la mia maestra Suor Ines si era proprio soffermata su quella Sicilia che vedeva nel periodo Classico uno dei suoi momenti di massimo splendore, dalle Maestose opere ai grandi personaggi che hanno di fatto caratterizzato la storia dell’isola durante il dominio greco e romano. Siracusa, in particolare, ci diceva l’amata maestra è un vero e proprio forziere a cielo aperto, come dimostrano i tanti siti archeologici presenti sul territorio. Tra questi impossibile non citare la Latomia del Paradiso, antica cava di pietra che presenta una grotta in cui alberga una curiosa leggenda: l’Orecchio di Dionisio.

Il viaggio si rilevò un successo sia sul lato storico che paesaggistico ma fu anche una bella rilevazione sul lato gastronomico poiché mangiammo una frittura di paranza e un risotto alla pescatora che ancora oggi alla mia veneranda età di 64 anni al solo pensiero mi viene l’acquolina in bocca.

Con grande soddisfazione ci avviammo presso la nostra mitica 750 Fiat Giannini per far ritorno alla nostra città… ma prima di partire con grande piacere mia madre “la Pina” mi comprò in una delle tante bancarelle adiacente al parco, un libricino con la storia e la leggenda sull’Orecchio di Dioniso… e così con tanto piacere vi narro tali descrizioni.

Un orecchio gigante per Siracusa

Poco distante dal centro di Siracusa si estende il Parco Archeologico della Neapolis. Si tratta di un’area in cui dimorano reperti archeologici risalenti a più periodi, soprattutto a quello greco e romano. Per dimensione ed importanza, è uno dei siti più rilevanti di tutto il Mediterraneo, e corrisponde solo a una piccola parte di quello che un tempo era Siracusa.

Al suo interno si trova anche una delle tante latomie siracusane: la Latomia del Paradiso. Ma che funzione avevano? Erano delle semplici cave di pietra utilizzate appunto per l’estrazione di varie risorse, tramite il duro lavoro di schiavi e prigionieri. Terminato lo scavo, la grotta interna veniva convertita in una vera e propria prigione. Quella della Neapolis è molto famosa soprattutto per la cavità che si estende lungo la parete settentrionale: ha infatti la curiosa forma (e funzione) di un orecchio gigante. E la cosa non sembra essere stata realizzata casualmente, anzi.
Intrighi e tradimenti alla corte di Dionisio

Con un’altezza di 23 metri, una larghezza che raggiunge gli 11 m e una profondità di oltre 60 m, l’Orecchio di Dionisio da sempre affascina turisti e curiosi. Il nome gli fu dato da Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, durante una sua visita nel 1608 in compagnia dello storico Vincenzo Mirabella. La forma della grotta gli ricordò subito quella di un orecchio umano, mentre l’opera fu attribuita al tiranno Dionisio.

La leggenda narra che, all’interno di questa grotta, il siracusano imprigionasse i suoi più accesi oppositori. E tramite un piccolo canale era possibile origliare tutto quello che accadeva, appostandosi nella parte esterna e superiore della cavità. Compito agevolato dalla conformazione delle pareti che permettevano (e permettono tuttora) di amplificare i suoni fino a 16 volte. Fu così che Dionisio sventò numerosi colpi di stato, intrighi e tradimenti che venivano organizzati – ignari – nella prigione.
Tra i prigionieri più illustri figura il poeta Filosseno, accusato di non saper apprezzare le opere scritte dallo stesso Dionisio. Qui Filosseno scrisse una delle sue opere più conosciute: Il Ciclope.

Non si hanno notizie certe di questa funzione di “spionaggio” da parte di Dionisio. Alcuni storici credono che l’Orecchio servisse in verità come effetto speciale per il teatro greco, sito proprio a ridosso della latomia. La piccola fessura è infatti collocata appena dietro gli spalti e – probabilmente – veniva utilizzata durante le rappresentazioni da un coro che, cantando dalla grotta, faceva uscire la propria voce alle spalle del pubblico. Il tutto lasciando di stucco gli spettatori, incapaci di individuare la fonte del canto appena udito.

Ancora oggi non si sa esattamente l’impiego di questa piccola meraviglia ingegneristica. Quello che sappiamo è che, una volta al suo interno, è meglio non rivelare i propri segreti. Qualcuno potrebbe ascoltarli a nostra insaputa…
Con mio grande piacere scoprii che a parte mio padre anche lo storico Tito Livio decantò la bella Siracusa definendola “Graecarum nobilissima(e) pulcherrima(e) que.“ La più bella e la più nobile tra le città greche.”

Storie di Sicilia è una rubrica quindicinale a cura di Salvatore Battaglia Presidente Accademia delle Prefi