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Catania. Tratta di schiave nigeriane costrette a prostituirsi, quattro gli arresti: smantellata organizzazione


La Polizia di Catania ha arrestato 4 nigeriani accusati, a vario titolo, di concorso con altri soggetti allo stato non identificati in Nigeria e in Libia, di tratta di persone, reato pluriaggravato dalla transnazionalità e dall’aver agito in danno di minori, esponendo le persone offese ad un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica

Gli arrestati sono Helen Ihama Helen, di 42 anni, conosciuta con il soprannome di “Helen”, il fratello Eddy, di 36, chiamato “Daddy”, la moglie di quest’ultimo, Epios Amolwi, di 31, e Juliet Eghianruwa Juliet, di 26. Gli arresti sono stati eseguiti in provincia di Caserta a seguito di un provvedimento emesso dalla direzione distrettuale antimafia della Procura di Catania,

L’indagine, condotta dalla Squadra Mobile etnea, è scaturita dalle dichiarazioni rese da una minorenne sbarcata nel porto di Catania nel luglio del 2016 dalla nave della Guardia Costiera “Luigi Dattilo”, insieme ad altri 359 migranti. Dal suo racconto si è appreso che la ragazza all’epoca minorenne, era stata reclutata nel paese di origine con la falsa promessa di una occupazione lavorativa da svolgere in Italia presso la sorella della donna che l’aveva contattata. La ragazza dopo essere stata sottoposta al rito esoterico ju-ju, con il quale si era impegnata a ripagare il debito di ingaggio contratto, pari a circa 20mila euro, aveva lasciato la Nigeria e, attraverso la Libia, era arrivata in Italia nel mese di luglio 2016, dove era stata contattata dalla ”madame” che l’attendeva in Italia: la donna le aveva preannunciato che avrebbe provveduto a prelevarla dal centro di accoglienza dove era stata collocata per avviarla alla prostituzione su strada per saldare il debito d’ingaggio contratto.

Gli investigatori inoltre, hanno ricostruito le storie simili di altre giovani nigeriane che , come da prassi erano costrette a prostituirsi per un corrispettivo mensile pari a circa 100 euro in postazioni che venivano chiamate “Ugbo”, ovvero “il terreno” che indicava i pochi metri di strada assegnati a ciascuna ragazza e da cui ha preso il nome l’operazione.