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Enogastronomia. Ricotta tra miti e leggende, tra dolce e salato

Questo sano e primordiale alimento viene usato in cucina per i primi piatti e ripieni e soprattutto per i dolci. Come i cannoli siciliani, la pastiera, il casatiello, le pardulas sarde e tante altre prelibatezze tutte a base di ricotta


La ricotta, pur essendo un prodotto caseario, non si può definire formaggio ma va classificata semplicemente come latticino. Come mai? Perché non viene ottenuta attraverso la coagulazione della caseina ma dalle proteine del siero, cioè la parte liquida che si separa dalla cagliata. In alcune zone della Sicilia orientale (ma anche in altre regioni come Toscana e Calabria) vengono utilizzati rametti di fico che, grazie alla linfa in essi contenuta, riescono a cagliare il latte ottenendo la ricotta.
La massa coagulata viene poi posta in recipienti perforati (anticamente si usavano cestini di vimini o di canne) per far scolare il liquido in eccesso. La ricotta ha un sapore dolce, dovuto al lattosio presente nel siero in misura variabile dal 2 al 4 per cento, in funzione del latte utilizzato.

Terminato a grandi linee l’aspetto nozionistico e scientifico… questo latticino può vantare oltre che alla bontà anche una antica storia, amata da artisti, santi, letterati. Si perde infatti nella notte dei tempi l’uso della ricotta: da Ulisse a San Francesco, dalle monache nissene agli arabi. Alcuni testi storici confermano che i primi a creare la ricotta furono gli egizi, poi i sumeri. i greci e infine i romani.
Possiamo azzardare che la grotta di Polifemo fu il primo caseificio da ricotta: questa leccornia era già conosciuta dagli antichi da essere citata nell’Odissea (nel nono libro esattamente) lavorata fresca o stagionata nella grotta del ciclope doveva essere uno dei mezzi di sostentamento dell’epoca, viste le numerose presenze di pecore.

Anche San Francesco d’Assisi si può definire il “promoter” della ricotta: la tradizione cristiana vuole che sia stato il povero frate di Assisi ad insegnare nuovamente ai pastori del Lazio a produrre questo prodotto, tanto che la ricotta romana, insignita della denominazione DOP, sia fra le più rinomate e gustate.

C’è da dire che è un prodotto molto fresco, quindi va consumata in pochi giorni dalla sua produzione. E’un condimento semplice e veloce per qualsiasi tipo di pasta, semplicemente sciogliendola con acqua di cottura, aggiungendo burro, parmigiano, oppure ottima per il ripieno di ravioli e cannelloni.

Ma il suo trionfo è nella pasticceria, nella produzione di dolci. Solo per citarne alcuni:i cannoli siciliani e la pastiera napoletana.

Secondo alcuni storici, il cannolo sarebbe stato inventato dalle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta. Avrebbero preso spunto da un’antica ricetta romana, poi elaborata dagli arabi. Il nome deriverebbe da uno scherzo carnevalesco, che consisteva nel fare uscire dal cannolo la crema di ricotta al posto dell’acqua. “Cannolo”, infatti, è un termine dialettale, che indica una sorta di rubinetto. Sebbene sia nato a Caltanissetta però, il cannolo siciliano deve la sua notorietà ai pasticceri di Palermo e provincia.

Altra leggenda diffusa e più “piccante” è che a inventare la ricetta dei cannoli siciliani furono le occupanti dell’Harem del Castello delle Donne del signore dell’allora Qalc’at al-Nissa (Caltanissetta). Gli emiri saraceni avrebbero avuto qui i propri harem e le concubine avrebbero creato per prime il dolce, forse come omaggio vagamente fallico ai propri uomini. Avrebbero così modificato un dolce arabo già esistente, a base di ricotta, mandorle e miele, rielaborandolo con la ricetta citata da Cicerone (“un tubo farinaceo ripieno di un dolcissimo cibo a base di latte”). In seguito, con la fine del dominio arabo in Sicilia, gli harem scomparvero. Qualcuna delle favorite, convertitasi alla fede cristiana, avrebbe portato con sé, nei monasteri, le ricette che aveva elaborato. Quindi le donne musulmane avrebbero tramandato le ricette alle consorelle cristiane, che iniziarono a preparare i cannoli durante il Carnevale.

Il cannolo è composto da una cialda di pasta fritta e un ripieno a base di crema di ricotta di pecora. L’impasto della scorza si prepara con farina, vino, zucchero e strutto. Si arrotola su piccoli tubi di metallo e poi si frigge. La ricotta viene setacciata e zuccherata, poi al ripieno si aggiungono canditi o gocce di cioccolato (versione più moderna). Infine si spolvera di zucchero a velo. Nota importante e fondamentale: per mantenere il gusto e la croccantezza, i cannoli si riempiono al momento.


La pastiera napoletana è il dolce che più rappresenta, insieme alla pizza, il simbolo della cucina partenopea.

Si tratta di un dolce dalle origini molto antiche: la preparazione, infatti, è un dessert tipico della primavera che probabilmente ha le sue origini nelle feste pagane per celebrare l’arrivo di questa stagione.

Questo dolce si consuma solitamente nel periodo pasquale, insieme ad altre specialità della pasticceria come il casatiello. Questa prelibatezza, dunque, ha radici antichissime, che risalgono addirittura alla nascita stessa di Napoli e al paganesimo, prima ancora di diventare emblema della festività cristiana. Secondo un’antica leggenda fu la sirena Partenope in persona, a cui si deve anche la nascita di Napoli: per ringraziarla di aver scelto il Golfo come sua dimora, gli abitanti incaricarono sette tra le più belle fanciulle dei villaggi di regalarle sette doni della natura, che Partenope stessa mescolò insieme dando vita alla pastiera. Si trattava di farina, ricotta, uova, grano tenero, acqua di fiori d’arancio, spezie e zucchero. Oggi è uno dei dolci pasquali più emblematici nelle varie regioni d’Italia, soprattutto al Sud.

 

Enogastronomia è una rubrica a cadenza quindicinale a cura di Silvia Donnini