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Vertice Ue sull’Ucraina: è scontro tra i 26 e Orban che conferma il veto ai 50 miliardi a Kiev

L’Ungheria di Viktor Orban blocca, nonostante le minacce di ritorsione non fa passi indietro sul veto al piano di dare 50 miliardi in quattro all’Ucraina e il vertice straordinario del Consiglio Europeo convocato per domani a Bruxelles, rischia un nuovo fallimento

Domani a Bruxelles, il Consiglio Europeo straordinario per cercare di trovare un’intesa, sul piano da 50 miliardi di euro di aiuti all’Ucraina (33 miliardi di prestiti e 17 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto) a lungo termine, è quasi certo che sarà un nuovo flop al di quello del dicembre scorso.

Il premier ungherese Viktor Orban, ha confermato il suo veto al piano di macroassistenza finanziaria da 50 miliardi di aiuti necessaria ad assicurare a Kiev il funzionamento dello Stato, al momento all’angolo nella guerra logorante guerra contro la Russia.

Anzi, secondo una fonte diplomatica europea, questa volta non basterà che Orban, che è il membro più anziano del Consiglio Europeo (è premier dal maggio 2010), lasci la sala astenendosi come fece a dicembre quando si trattava di “una decisione politica”, in questo caso si tratta di una questione “giuridica e serve l’unanimità a 27” e per essere adottata, la revisione del Qfp richiede l’unanimità del Consiglio e l’approvazione del Parlamento. Anche rimandare non sarebbe una soluzione, Kiev non ha più tempo e senza sostegni finanziari immediati rischia di andare in default: “L’aiuto all’Ucraina non può attendere”, dice la fonte, perché se non arrivassero gli aiuti europei “da marzo inizieranno a trovarsi in difficoltà”.

Paradossalmente la pubblicazione sul Financial Times di un documento redatto da funzionari dell’Ue, dove ci sarebbe scritto che Bruxelles ha delineato una strategia per colpire esplicitamente le debolezze economiche dell’Ungheria, ovvero, mettere in pericolo la sua valuta e portare al collasso la fiducia degli investitori nel tentativo di danneggiare “occupazione e crescita” se Budapest rifiuta di revocare il veto contro gli aiuti a Kiev, ha irrigidito ulteriormente il premier ungherese, che ha risposto contro minacciando: “L’Ungheria non cede al ricatto! Il documento, redatto dai burocrati di Bruxelles, non fa che confermare ciò che il governo ungherese sostiene da tempo: l’accesso ai fondi Ue viene utilizzato per ricatti politici da parte di Bruxelles”.

Dopo la reazione ungherese, i ministri degli Affari europei riuniti a Bruxelles hanno tentato di minimizzano: il piano principale è arrivare a un compromesso con il voto a 27. Ma il danno orami era fatto e una fonte diplomatica ha ammesseo che “Non è stata un’ottima idea”, perché questa indiscrezione consentirà a Orban di avvalorare la sua tesi circa un “ricatto” di Bruxelles nei confronti dell’Ungheria.

Il vertice Ue di domani primo febbraio si apre dunque come si era chiuso il vertice del 15 dicembre: con il veto del premier ungherese, Viktor Orban, contro il pacchetto da 50 miliardi di euro per l’Ucraina. A poche ore dall’avvio dei lavori, i diplomatici europei sono impegnati in un frenetico tentativo di arginare le fiamme. “La situazione è complicata, molti vedono nel sostegno all’Ucraina una questione esistenziale”, ha spiegato un alto funzionario che lavora alla preparazione del vertice. Da parte sua, Orban si didende dicendo di essere sotto ricatto da Bruxelles, che a sua volta lo accusa di essere l’unico ricattatore al tavolo. Scontro totale.

“La priorità è arrivare a un accordo a ventisette”, ha spiegato il funzionario già citato. “Le eventuali opzioni b saranno valutate solo in caso di un fallimento il primo febbraio”, ha aggiunto. Per ora si preferisce non prendere in considerazione l’evenienza. “Ovviamente non ci saranno soluzioni immediate in caso di mancato accordo, ne dovremo trattare le conseguenze politiche e lavorare ad altro”, ha spiegato un diplomatico di uno dei principali Paesi Ue.

Orban sostiene di avere fatto la propria parte. In un’intervista al quotidiano francese Le Point ha illustrato la sua versione dei fatti: “Non siamo d’accordo con la revisione al bilancio. Non siamo d’accordo sul fatto che dovremmo dare 50 miliardi di euro all’Ucraina, che è una somma enorme. Non siamo d’accordo sul fatto che dovremmo darla per quattro anni e cosi’ via. Ma lasciamo stare, l’Ungheria è pronta a partecipare alla soluzione dei 27, se garantisce che ogni anno decideremo se continuare o meno a fornire questi soldi. La decisione deve avere la stessa base giuridica di oggi: deve essere unanime. Purtroppo questa posizione è intesa o interpretata da alcuni Paesi come un mezzo per ricattarli ogni anno”.

La via d’uscita proposta dal premier ungherese è del via libera agli aiuti all’Ucraina solo se è annuale, approvato ogni volta all’unanimità, ma per gli altri Stati è una trappola. “L’Ungheria – spiega – non fa collegamenti tra il sostegno all’Ucraina e l’accesso ai fondi dell’Ue e rifiuta che altri attori lo facciano. L’Ungheria ha partecipato e continuerà a partecipare in modo costruttivo ai negoziati, ma non cederà ai ricatti”. Citando lo stesso Bóka, Balázs Orbán, direttore politico del primo ministro magiaro, precisa via X che “Budapest ha inviato sabato una nuova proposta a Bruxelles” ed è “ora aperta all’utilizzo del bilancio dell’Ue per il pacchetto Ucraina e persino all’emissione di debito comune per finanziarlo, a patto – scrive – che vengano aggiunti altri caveat che diano a Budapest l’opportunità di cambiare idea in un secondo momento”.

“Il bilancio pluriennale si approva una volta ogni sette anni e lo si fa all’unanimità. Poi ogni anno si approva il bilancio annuale e questo avviene a maggioranza qualificata. Quello che chiede Orban è praticamente approvare all’unanimità ogni anno il bilancio”, spiegata una fonte Ue.

Le alternative per un compromesso da offrire dall’Ungheria non convincono nemmeno gli altri. Stanziare gli aiuti dall’Ucraina fuori dal bilancio, quindi a ventisei, vorrebbe dire passare per ventisei approvazioni da parte dei Parlamenti nazionali. E ciò richiederà tempo e complica in modo esponenziale le difficoltà politiche interne, specie in vista delle elezioni europee di giugno. Inoltre, si metterebbe in discussione la revisione del bilancio con il rischio di vedere sfumare ad esempio i 9 miliardi destinati a migrazioni e vicinato