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L’Ucraina è a corto di munizioni e le nuove forniture promesse da Usa e Eu potrebbero arrivare dopo marzo… troppo tardi

L’ucraina sta esaurendo le scorte di armi e munizioni ma nell’immediatezza ha bisogno di milioni di pezzi di artiglieria e proiettili di vario calibro e tipo per contrastare l’intensità del fuoco russo che in Europa non si vedeva dalla Seconda guerra mondiale

Il 2024 per Kiev si preannuncia molto difficile, l’impegno – al momento solo a parole – dell’Unione europea di sostenere l’Ucraina non si è concretizzato, c’è la generica promessa di fornire aiuti per 50 miliardi di euro, ma il veto dell’Ungheria di Orban, li ha bloccati. La battaglia sul campo infuria come non mai, Mosca ha intensificato gli attacchi su tutti i fronti con una varietà di mezzi mai visti prima e l’esercito ucraino per contrastarli sta consumando fra seimila e ottomila pezzi al giorno di artiglieria da 155 millimetri (15,5 centimetri) di diametro, quelli lanciati tipicamente da carri armati come i Leopard, da cannoni mobili come gli obici di fabbricazione europea, britannica o statunitense, ognuno dei quali in Occidente ha un costo di fabbricazione medio di quattromila euro. Senza munizioni la guerra di trincea lungo gli oltre mille chilometri del fronte, semplicemente, non è sostenibile e le promesse dei governi europei di fornire a Kiev un milione di pezzi da 155 millimetri entro marzo prossimo, difficilmente potranno essere mantenute a causa di una lunga serie di esitazioni, avarizie ed errori di calcolo.

L’Ucraina per difendersi dagli attacchi russi ha bisogno di circa due milioni di pezzi di artiglieria l’anno, che hanno un costo di produzione in Occidente di circa otto miliardi di euro, ma l’Unione europea che si è impegnata da inviare a Kiev entro marzo prossimo un milione di colpi, negli ultimi nove mesi ne ha fornito appena la metà. Inoltre la capacità produttiva degli Stati Uniti di proiettili da 155 millimetri, pur aumentata, non supera le 300 mila unità all’anno.

Sul fronte opposto, la Russia al contrario ha fortemente aumentato la sua capacità produttiva, riconvertendo i suoi impianti industriali civili in militari con turni lavorativi di 24 ore. A tutto ciò si aggiunge l’accordo con la Corea del Nord che ha venduto a Mosca una partita di artiglieria da 350 mila pezzi – una quantità superiore alla capacità produttiva di un anno degli Stati Uniti, oltre alle perplessità sul ruolo della Cina che avrebbe fornito armi a Mosca dietro la copertura del governo di Pyongyang.

L’Europa si giustifica con diverse scuse per il ritardo delle forniture promesse a Kiev, ma la verità è che le imprese europee della difesa continuano a vendere la loro produzione di artiglieria verso Paesi terzi diversi dall’Ucraina, tra i quali l’Arabia Saudita e altri committenti per contratti stipulati prima dell’inizio del conflitto con la Russia e ora quelle forniture non vengono sospese, per evitare di pagare pesanti penali in caso di mancato rispetto dei contratti.

Su quante munizioni finiscano fuori dall’Europa non c’è certezza, ma si stima che siano circa la metà di una capacità produttiva da un milione di pezzi da 155 millimetri all’anno. Sulla questione il segretario generale del ministero degli Esteri estone Jonatan Vseviov ha chiarito: “A questo punto della guerra, uno si aspetterebbe che il nostro impegno sia totale, ma non è così. Con una spesa pari allo 0,25% del Pil dell’Unione europea (350 miliardi di euro l’anno, ndr) potremmo dare all’Ucraina tutte le armi di cui ha bisogno. Stiamo aumentando gli investimenti e nel lungo periodo saremo forti, ma rischiamo di perdere la guerra in Ucraina prima di allora”.

L’industria europea dall’inizio della guerra ha aumentato la produzione di artiglieria di circa il 30%, ma non basta e per un’ulteriore crescita servirebbero nuovi impianti e le imprese non investiranno per aprili fino a quando non avranno certezze sugli ordinativi per vari anni a venire, dopo il conflitto ucraino.

Un nuovo stabilimento costa almeno 40 milioni di euro e rischia di restare inutilizzato non appena le armi taceranno nel Donbass. Osserva il presidente di Leonardo, Stefano Pontecorvo: “Siamo pronti a far crescere la produzione istallando nuova capacità industriale, ma abbiamo bisogno di contratti pluriannuali. Non possiamo investire sul lungo termine, se non sappiamo come sarà”. Troppe parole e poche certezze e questo mentre in Ucraina si sparano centinaia di migliaia di colpi alla settimana con i governi Europei, che assillati dall’opinione pubblica e preoccupati  per le imminenti elezioni, dosano i bilanci con una cautela da alchimisti.