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Salute & Benessere. La sindrome di Hikikomori: isolarsi dal mondo restando sempre sul web

Gli eremiti del web sono sempre di più, aumentati dopo le restrizioni a causa del covid: ecco cosa è la sindrome di Hikikomori

Per anni è stato considerato una questione tutta giapponese, una di quelle strane peculiarità orientali, come l’inchino, il biglietto da visita porto con due mani e le cene seduti per terra.

E invece no, la sindrome di Hikikomori, dopo la varie restrizioni figlie della prevenzione per evitare i contagi da covid, è ormai una problematica mondiale. Chi è affetto da questa patologia tende a stare davanti al computer per tutto il giorno, rifiutando il mondo e chiudendosi in camera per non uscirne più. L’isolamento può durare mesi, anni o addirittura per tutta la vita.

I primi casi italiani, sporadici e isolati, sono stati diagnosticati nel 2007, e da allora il fenomeno ha continuato a crescere e, seppure con numeri diversi da quelli giapponesi, a diffondersi. Tuttavia nel nostro paese il problema della dipendenza da web, anche se non ancora sfociata in una patologia conclamata, riguarderebbe 240 mila giovani, che passano in media almeno tre ore al giorno davanti al pc.

Certamente dai risvolti più preoccupanti ciò che accade a chi è inquadrato nella sindrome di Hikikomori. Già dagli anni ’80 i medici giapponesi hanno studiato i casi di ragazzi che frequentavano regolarmente e con buon profitto la scuola, ma che al termine dell’orario scolastico si rinchiudevano in casa trascorrendo il resto della giornata e parte della notte davanti allo schermo del computer, immersi in una realtà parallela in cui in cui l’unico amico è proprio il pc. In giapponese il termine “hikikomori” significa “ritiro”, ed è stato scelto dal dott. Tamaki Saito, direttore del Sofukai Sasaki Hospital di Tokio, una struttura ospedaliera che per il 70% accoglie pazienti adolescenti o ventenni.

La sindrome sta a identificare un certo numero di sintomi quali letargia, depressione, incomunicabilità, disturbi ossessivo-compulsivi e, appunto, isolamento sociale. Nei casi più gravi, chi è colpito dalla sindrome vive recluso in casa, abbandonando qualsiasi attività esterna, compresi lavoro e scuola, e comunicando soltanto attraverso Internet.

La Fnomceo – Federazione italiana degli ordini dei medici – lancia l’allarme sulla patologia: “le istituzioni italiane non sembrano preoccuparsi ed è un limite evidente, giacché la realtà sociale è fatta anche e soprattutto di queste problematiche, con un’espansione clinica che valutiamo quotidianamente. Il più delle volte chi è colpito dalla malattia riesce a raggiungere la sufficienza nelle materie scolastiche, confermando che frequentano l’ambiente didattico come una sorta di obbligo, e poi si ritirano dal mondo reale per calarsi completamente in quello virtuale. È una delle forme emergenti di dipendenza, che spesso viene confusa con situazioni psicopatologiche diverse. Va affrontata e prevenuta innanzitutto attraverso la conoscenza del fenomeno che è ancora sottaciuto”.

Salute & Benessere è una rubrica medica a cura del dott. Accursio Miraglia.