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Venezuela. Referendum annessione parte di Guyana Esequiba: i sì sfiorano il 90% . Sale la tensione in America Latina

Con una valanga di sì che hanno sfiorato il 90% il Veneziuale si annette uan parte del territorio della Guyana Esequiba che recentemente ha scoperto di avere materie prime, oro, petrolio e gas

Il presidente venezuelano Nicolás Maduro esulta e rilascia dichiarazioni roboanti per la schiacciante vittoria del referendum su cui aveva puntato tutte le carte, ma che innesca un nuovo focolaio di tensioni in America Latina. “Un successo schiacciante, una vittoria storica” ha detto Maduro, una dimostrazione che il “Venezuela ha un sistema elettorale trasparente e affidabile”. In effetti il suo referendum sull’annessione di una larga fetta della Guyana Esequiba, è un trionfo personale, prendersi un territorio di 160 mila chilometri quadrati ricchi di materie prime, oro, petrolio e gas e sancisce con 10.544.320 voti milioni un diritto che considera ancestrale, oltre che storico. I sì hanno sfiora il 90 per cento.

Usa e Gran Bretagna osservano l’evoluzione della situazione con preoccupazione, che potrebbe aprire un nuovo conflitto lungo i confini della Guyana, nel nord est del Continente, dove si ammassano contingenti militari. Il primo ad essere preoccupato è il Brasile, anche se politicamente Il presidente Lula è molto vicino a Maduro, preoccupata la stessa Guyana che con soli 800mila abitanti teme di essere travolta dai venti patriottici e nazionalistici che il regime di Caracas soffia da settimane. Ma a prescindere dalla preoccupazioni di Stati più o meno interessati per vari motivi, Maduro ha rispolverato una vecchia rivendicazione territoriale sull’ex colonia britannica, avvolta da una fitta giungla, diventata indipendente nel 1966.

La storia recente della Guyana Esequiba inizia dalla conquista dalla Corona spagnola che aveva cercato di ripopolarla. Il lembo di terra poi passa nelle mani degli olandesi che la ceduno alla Gran Bretagna. Stremata dalla guerra d’indipendenza, Caracas aveva rinunciato a quella fetta di terra che le era sempre appartenuta, e solo nel 1899 si era presentata davanti alla giustizia internazionale rivendicando una sovranità che il verdetto, noto come Lodo arbitrale di Parigi, assegnò definitivamente a Londra.

Il Venezuela gridò allo scandalo, definì quella sentenza una truffa e rifiutò di accettarla. Il contrasto non fu sanato per oltre mezzo secolo e solo quando la Gran Bretagna concesse l’indipendenza alla sua ex colonia raggiunse un accordo con il Venezuela riconoscendo le rivendicazioni del vicino e propose di affidare la controversia alle Nazioni Unite. La diatriba restò sospesa in un limbo di incertezza senza mai raggiungere un’intesa chiara e definitiva. Arrivato al potere, lo stesso Hugo Chávez finì per archiviarla avviando un clima di distensione con la nuova Guayana indipendente, uno stato poverissimo e privo di risorse, alla quale offrì un aiuto per sostenerla nella sua miseria. Il ricco Venezuela avrebbe venduto il suo petrolio dell’Orinoco a prezzi scontati in cambio di un accordo geopolitico che rafforzava la leadership energetica chavista nella regione. Nicolás Maduro, che era ministro degli Esteri, seguì le direttive del capo e si concentrò sulle lotte interne per emergere come futuro delfino del leader della rivoluzione bolivariana. Una “distrazione” che ha pagato caro e che tutti, opposizione in testa, gli hanno rimproverato anche dopo la morte del suo mentore.

Il tema si è riproposto nel 2020 quando la massima Corte delle Nazioni Unite, la Corte Internazionale di Giustizia, ha preso in mano il dossier su richiesta della Guyana. Il paese aveva scoperto materie prime ricchissime e temeva il risveglio del suo vicino. Cosa che è puntualmente avvenuta. L’Onu, da allora, non si è ancora pronunciata e probabilmente ci vorranno anni prima che lo faccia. Ma quando Maduro ha iniziato a suonare la grancassa e ha promosso il referendum lanciando una massiccia campagna che ha mobilitato tutti gli apparati dello Stato, la Guyana si è allarmata e ha chiesto alle Nazioni Unite di impedire la consultazione. La Corte, venerdì scorso, ha respinto la richiesta e ha autorizzato il referendum. Ma ha anche avvertito Caracas di non forzare la mano e di “astenersi dall’intraprendere qualsiasi azione che possa alterare il controllo della Guyana sull’Esequiba”.